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Così metaversi e Ai interrogano i diritti di proprietà intellettuale

di Dario Aquaro

4' di lettura

L’intelligenza artificiale e l’impatto su copyright e design. I metaversi e l’internet che cambia veste. I token non fungibili e il problema del falso. I brevetti essenziali e l’estensione delle licenze. La tecnologia interroga, il diritto e la giurisprudenza rispondono. Nel campo della proprietà intellettuale (Ip) le sollecitazioni arrivano da più fronti. E come è naturale, incrociano discipline diverse.

Prendiamo l’intelligenza artificiale (Ai), esempio di “spada a doppio taglio”: tecnologia con il potenziale per migliorare la protezione della Ip e al tempo stesso possibile strumento per la sua violazione. Uno studio pubblicato dall’Euipo lo scorso marzo ha messo in rilievo le connessioni attuali e future con il diritto d’autore e del design. Spiegando come valutarle.

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Gli strumenti di machine learning possono essere usati per creare copie non autorizzate di opere protette da diritti di proprietà intellettuale, ma anche per disinnescare queste minacce, ad esempio aiutando le autorità a individuare i deep fake. «Nel quadro della direttiva Ue 2019/790 sul copyright, già recepita in Italia e in altri 15 Stati membri, le piattaforme di condivisione dei contenuti digitali devono ottenere (o adoperarsi per ottenere) l’autorizzazione dei titolari dei diritti, o rimuovere i contenuti segnalati», premette Federico Fusco, partner in Dentons e membro della practice di Proprietà intellettuale e tecnologie.

Anche le piattaforme di condivisione, dunque, sono chiamate a un più ampio uso delle tecnologie di Ai per contrastare le attività illecite. «Le imprese – sottolinea Fusco – sono più attrezzate di un tempo e più sensibili al continuo aggiornamento tecnologico. Molte di loro già usano strumenti di Ai. E lo studio Dentons ha da poco stilato una guida che fa il punto sullo stato dell’arte in questo campo: dalla contrattualistica alla governance, alla proprietà intellettuale».

L’interpretazione del nuovo

Studiare le tecnologie, leggere il cambiamento e offrire delle risposte. La questione della titolarità, dei falsi, riguarda anche altri nuovi ambiti, come quello – di cui si fa un gran parlare – del metaverso, anzi dei metaversi. In questo caso l’ambito è nuovo, i problemi no. «Sono gli stessi già affrontati in passato – con internet e i social network – ed esistono norme e istituti efficaci, da interpretare e applicare nelle realtà virtuali», osserva Francesca La Rocca dello studio Sena & Partners. «Il campo d’azione della direttiva e-commerce, ad esempio, che regola la responsabilità dei service provider, è stato esteso dalla giurisprudenza ai social network: per cui si prospetta un’applicazione in via analogica anche nei metaversi. D’altra parte il principio è lo stesso del gaming: c’è una società, che crea il software e lo gestisce, e con la quale si stipula un contratto per entrare nell’ambiente virtuale. Che responsabilità abbia questo soggetto è ciò a cui può fornire un’indicazione la direttiva».

Quanto alla contraffazione, dice ancora l’avvocato La Rocca, «bisogna ricordare che il diritto Ip è caratterizzato dal principio di territorialità: la tutela non è internazionale ma vale nei Paesi in cui il marchio è registrato. Il nodo potrebbe essere capire dove si verifica la contraffazione e a quali difese fare ricorso». E qui ritorna il tema dell’intelligenza artificiale: utile a creare, ma anche a scoprire i falsi e quindi a definire le strategie di tutela.

Spiega Lydia Mendola, partner di Portolano Cavallo e responsabile della practice di Ip: «I metaversi, i mondi virtuali, verranno abilitati da diverse tecnologie (blockchain, intelligenza artificiale, realtà aumentata, realtà virtuale, 5G, cloud computing ed edge computing), integrate tra loro. E vanno affrontati interpretando norme che non sono propriamente pensate per queste realtà ma che gli operatori del settore dovranno implementare nel contesto del web 3.0. Lavorando molto con la moda, stiamo già sperimentando un incremento di lavoro sugli Nft, regolati facendo ricorso a norme e principi giuridici esistenti».

Certo con l’affermazione di nuove tecnologie si creano opportunità per nuove attività illecite: «la piattaforma OpenSea, ad esempio - ricorda Mendola –, ha ammesso di recente che l’80% degli Nft coniati grazie al suo servizio gratuito sono “falsi”, nel senso che chi li conia non ha alcun diritto sul bene digitale sotteso. Si aprono nuovi filoni di contenzioso, cui le piattaforme fanno fronte, per esempio, attraverso la procedura di “notice and take down”, cioè di rimozione dei contenuti illegali online».

Brevetti e innovazioni

Non solo brand, diritti dei marchi e del design. Il cambiamento riguarda anche l’ambito più “hard” dei brevetti e della tutela dell’innovazione. «Un tema è quello dei brevetti cosiddetti “essenziali”, che proteggono le tecnologie indispensabili per attuare standard tecnici come 4G, Gprs, Bluetooth, eccetera – nota Luigi Mansani, partner di Hogan Lovells e responsabile del dipartimento di Ip –. Perché è interessante vedere i riflessi sulla cosiddetta Internet of things (IoT). Questi brevetti “essenziali”, che devono essere dati in licenza a prezzi ragionevoli, servono a far funzionare ad esempio computer o smartphone. Ma a partire dalla telefonia, il raggio d’azione si è allargato a dismisura, e ora coinvolge tutti i device, persino le automobili». Parlando di novità, va citato anche il fronte normativo. «Con il nuovo brevetto comunitario che si intravede all’orizzonte – afferma l’avvocato Mansani – l’azione legale varrà finalmente nei confronti di tutti i Paesi Ue, evitando di dover affrontare tante cause diverse nei vari territori».

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