I punti chiave
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Un lampo, nella notte buia attraversata dai mercati finanziari lungo l'intero 2022. Nell'annus horribilis per gli investimenti a rischio il private debt è stata una fra le rare attività ad aver salvato le penne e consegnato ritorni positivi ai sottoscrittori: il Cliffwater Direct Lending Index (Cdli), che misura l'andamento del debito privato negli Stati Uniti, di gran lunga il principale mercato a livello globale, ha garantito nel 2022 un rendimento total return del 6,3 per cento. Circa la metà rispetto ai dodici mesi precedenti e ai valori medi annui registrati dal 2004, ma pur sempre una performance che vale oro a confronto con le disastrose performance dei diretti concorrenti sui mercati, high yield e leveraged loan, che hanno chiuso con un passivo intorno al 12% negli Usa.
Non è quindi certo un caso se il 90% degli investitori istituzionali intervistati in un sondaggio Preqin abbia dichiarato che il debito privato ha «soddisfatto o superato le aspettative», si aspetti una performance addirittura migliore nei prossimi 12 mesi e preveda quindi di aumentare la propria allocazione nel 51% dei casi. Il mercato dà finora loro ragione, visto che nei primi sei mesi 2023 l'indice Cdli ha guadagnato ancora il 5,6%, ma non è una novità: il direct lending ha vinto il confronto con i prestiti a leva o ad alto rendimento quotati paragonabili per rischio emittente in 13 degli ultimi 18 anni, non soltanto per il premio al rischio concesso di solito agli strumenti illiquidi.
Rendimenti affidabili
Anche per questo l'affidabilità del reddito che si può ottenere è per il 51% degli investitori l'attrattiva principale del debito privato, più di quanto non lo sia lo stesso livello dei rendimenti corretti per il rischio (44%), e il prestito diretto viene indicato nel 60% dei casi lo sbocco con maggiori opportunità. «Gli investitori si sono resi conto che attraverso di esso si possono ottenere rendimenti non solo superiori, ma anche molto meno volatili», conferma Ken Kencel, Ceo di Churchill, società specializzata nel private capital Usa controllata da Nuveen, pronto a sottolineare le ragioni per cui crede che questa classe di investimento stia attraversando «il periodo più interessante mai visto».
«Il primo motivo - sottolinea Kencel - risiede nel fatto che questi prestiti sono a tasso variabile e quindi non vulnerabili come altri investimenti in un contesto di tassi di interesse in aumento». I rendimenti totali hanno quindi superato il 12%, beneficiando anche di una leva finanziaria significativamente più bassa (circa 4 volte gli utili rispetto alle 5/6 volte di qualche anno fa), di una qualità relativamente migliore delle imprese in cui si investe e di una struttura più favorevole dei covenant (le strutture che inserite nei contratti a tutela del finanziatore).
Banche in ritirata e mercati pubblici congelati
Oltre ai fondamentali bisogna infine considerare l'elemento forse più importante: «Le società di private debt - aggiunge Kencel - sono in competizione con le altre due principali fonti di capitale, le banche che si stanno però progressivamente tirando indietro per la volatilità che ha seguito la pandemia e perché hanno bilanci stressati, e i mercati liquidi verso i quali l'accesso però è diventato molto difficile, specialmente in Europa e dopo lo scoppio della guerra in Ucraina». Il direct lending sembra insomma avere la strada sgombra di fronte a sé e la crisi innescata negli Stati Uniti a marzo dal caso Silicon Valley Bank ha paradossalmente fornito ulteriore spinta in questa direzione «perché le banche regionali si sono dovute improvvisamente ritirare e hanno lasciato campo libero ai prestiti privati». Le opportunità non mancano del resto, anche perché di fronte alle aziende si para un autentico «muro di scadenze» da rispettare. A livello globale ammontano a 84 e a 307 miliardi di dollari i prestiti che matureranno rispettivamente entro due e tre anni, una fetta sempre maggiore dei quali potrà essere rifinanziata anche con debito privato.
Gli sviluppi in Europa
L'Europa, dove nel 2022 il patrimonio investito nel private debt è cresciuto del 12% a 417 miliardi di dollari, segue a distanza la dinamica di un mercato globale che vale ormai 1.500 miliardi (oltre 6 volte in più rispetto ai 235 miliardi che si contavano prima del crack Lehman) pur con qualche distinzione. Il livello dei prestiti aziendali in scadenza nei prossimi due anni è salito a 27 miliardi, quello a tre anni a 72 miliardi, la tendenza dei fondi di private debt a recuperare quote rispetto al canale bancario sembra però essersi arrestata poco sotto al 60% e per l'Italia raggiunge appena il 27% secondo Houlihan Lokey.
«Il rallentamento subito l'ultimo anno dalle operazioni di M&A per il contesto economico e politico più incerto è fuori dubbio – ammette Kencel - ma le indicazioni più recenti sono incoraggianti e segnalano una ripresa». Più in generale, il manager di Churchill assicura che «le dinamiche europee del direct lending ricordano molto da vicino quelle percorse dieci anni fa dagli Usa, le banche sono in ritirata e la liquidità sui mercati quotati si sta prosciugando: sarei davvero stupito se non emergessero gli stessi fenomeni».
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