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Così la psicologia ambientale può aiutarci a lavorare meglio

La relazione è per eccellenza lo spazio reale in cui esercitiamo la nostra umanità e la nostra possibilità di realizzarci

di Eva Campi *

(AP)

4' di lettura

Come esseri umani, non siamo separati dall’ambiente che ci circonda: ne facciamo parte ed esso è parte di noi. In un periodo storico in cui luoghi prima denominati per la loro funzione definita e statica diventano fluidi per i più svariati utilizzi, diventa cruciale ridefinirne i significati e il senso. A tal proposito, la psicologia ambientale è una branca della psicologia che si concentra sulla relazione tra gli esseri umani e il mondo che li circonda. In particolare, si occupa di studiare come gli ambienti socio-fisici possano influenzare il modo in cui le persone pensano, si sentono e si comportano.

In genere, quando le persone pensano all’ambiente, riflettono sulla Natura. Tuttavia, “ambiente” nella psicologia ambientale si riferisce sia agli ambienti naturali che a quelli creati dall’uomo. Oltre a ciò, viene considerato “ambiente” anche lo studio dello spazio personale degli individui, il senso di appartenenza agli spazi e dell’impatto emotivo che il “fuori da noi” genera “nel dentro di noi”. La psicologia ambientale nasce alla fine degli Anni Sessanta ed è conosciuta e praticata soprattutto dagli addetti ai lavori, cioè, oltre che da psicologi sociali e clinici (anche la famiglia e il luogo dove essa vive viene considerato un ambiente integrato di studio), se ne occupano in modo interdisciplinare architetti, ingegneri, designer, urbanisti.

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Tale disciplina sta assumendo sempre più importanza nella fase post-pandemica che stiamo vivendo; un momento storico, appunto, in cui la parola Ambiente riecheggia cognitivamente ed emotivamente in noi, in modo trasversale tra professioni, generazioni, culture. Limitandoci ad una riflessione sui “luoghi di lavoro”, studi ormai consolidati e avvalorati dall’esperienza collettiva di remote working affermano che la distanza fisica rappresenta un fattore determinante per un rapporto ecologico e sostenibile con l’ambiente che ci circonda. La prossimità appare essere il miglior predittore della sintonia emotiva.

Tuttavia, in questo momento di transizione e di nuovi assetti sociali, professionali, familiari ed affettivi, ritornare ad incontrare gli altri, in ufficio o in un’aula formativa, sembra più difficile di quando pronosticato. Lo psicologo J.L. Brand ha elencato alcuni elementi ambientali che possono influire sull’efficacia e il piacere di ritornare ad interagire socialmente sui posti di lavoro.

Qualche esempio:
- La presenza di finestre: evergreen, banale, ma non scontato, se pensiamo alle molte aree meeting ai piani -1 di edifici multipiano. Forse adesso è arrivato il momento giusto per destinare questi spazi ad altre attività.
- L'illuminazione adatta e flessibile, idealmente con luce naturale, incoraggia l’interazione sociale.
- Finestre e luce, unite ad un soffitto alto danno maggiore possibilità di respirare.
- Le sedute disposte in modo circolare invece che scrivanie tutte allineate. Va da sé che la disposizione più ostile in un ufficio equivale alla tradizionale configurazione “due sedie di fronte e una scrivania tra loro”.
- Considerare i divani con parsimonia, perché sebbene siano meno formali delle sedie, non sempre avvantaggiano la relazione, perché se le persone non si conoscono bene fanno fatica a sedersi vicino; in generale, alcuni, sono proprio difficili non nella seduta, ma nel rialzarsi.
- Gli arredi, in generale, che non dovrebbero fornire indicazioni sullo status all’interno del gruppo (ad esempio sedie con rotelle, per qualcuno, senza rotelle per altri, ecc ... al di là dell’ergonomia necessaria).
- Avere la possibilità di stare faccia a faccia con tutti gli altri membri del gruppo perché incoraggia l’interazione sociale, considerando il fatto che il 60% di ciò che le persone apprendono avviene in modo informale, in modalità “cabaret”.

Si potrebbe pensare, quindi, che, una volta apportate delle modifiche strutturali e ambientali più o meno onerose, il new normal potrebbe rilanciare una volontà nuova di vivere l’ufficio e gli spazi di condivisione con colleghe e colleghi. Senza dubbio gli elementi architettonici e di arredamento contano e fanno la differenza; sono leve “gentili” che supportano l’evoluzione di nuove abitudini, ma la variabile umana rimane il grande nodo da educare nella nuova realtà.

Per fare un esempio concreto, se nei due giorni di lavoro in ufficio, ipotizzando la policy di un’azienda che dia la disponibilità di lavorare da remoto 3 giorni su 5, organizzo la mia agenda solo con meeting in Teams e incontri one-to-one con la porta chiusa, risulterà difficile innescare quella interazione con gli altri di cui tutti diciamo di avere un gran bisogno, ma che nel concreto ricerchiamo poco. È come se ci fossimo talmente abituati alla routine del lavoro da remoto in autonomia solitaria che riportiamo in ufficio questa routine, escludendo le variabili ambientali e le possibilità che la presenza ci offre, per fare cose diverse, insieme agli altri, magari anche non programmate nel dettaglio.

Dalle ricerche emerge che questo atteggiamento, al momento, è più presente nei manager e ci chiediamo quindi come questo possa, nel medio e lungo termine, influire sui comportamenti diffusi di un team o di una funzione. Come possiamo allenarci a creare valore dalle differenze di contesto ambientali disinserendo il pilota automatico? La psicologia ambientale può essere utile anche in questo caso se ci ricordiamo che la relazione è per eccellenza lo spazio reale in cui esercitiamo la nostra umanità e la nostra possibilità di realizzarci.

Nella gestione di questo spazio, la psicologa e antropologa Karen Horney ci raccomanda 4 qualità da allenare. A seconda dei casi, occorre saper “andare incontro all’altro” (rendersi disponibili), “stargli vicino” (essere empatici e accoglienti), ma anche, se necessario, saper “andare contro” (nel senso di opporsi per non farsi sopraffare e per permettersi di dissentire) e, infine, saper “andare lontano” (e cioè prendere le distanze) quando inevitabile.

Attendendo i giusti tempi di “re-furbishment” e “new-refurbishment”, curare gli ambienti relazionali è alla portata di tutti, nella quotidianità.

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