«Così tuteliamo il patrimonio archeologico sottomarino»
Parla Barbara Davidde: «Far scoprire i reperti sott'acqua anche a chi non è sub grazie alla tecnologie»
di Domenico Palmiotti
4' di lettura
«Tra mari, laghi e fiumi, il nostro Paese è ricco di reperti archeologici anche in acqua. Troviamo relitti, resti di città sommerse, villaggi palafitticoli e villaggi preistorici. Non vorrei fare classifiche tra aree o regioni, ma parliamo di un patrimonio importante che è diffuso in tutta Italia. Abbiamo molti relitti di età romana dal secondo secolo Avanti Cristo al terzo secolo Dopo Cristo. Ci sono meno testimonianze di Rinascimento e Medioevo ed una grande quantità di reperti della prima e seconda Guerra Mondiale che fanno parte anch’essi del nostro patrimonio. Tutelarlo, valorizzarlo e farlo conoscere anche a chi non si immerge, sarà ora il mio lavoro». Barbara Davidde è la nuova soprintendente nazionale per i beni culturali che sono sui fondali del nostro mare. Si è appena insediata a Taranto, sede principale della nuova Soprintendenza nazionale.
Voluta dal ministro Dario Franceschini, per il quale «l’archeologia subacquea è uno dei settori di ricerca più importanti», quest'istituzione avrà due centri operativi: Napoli e Venezia. Ma se il debutto è recentissimo, Davidde ha lunga dimestichezza con i reperti sommersi. Romana, laureata in Archeologia alla Sapienza e con specializzazione acquisita alla Scuola nazionale, è sub. Insegna all’Università Roma Tre e fa parte del consiglio tecnico scientifico dell'Unesco per il patrimonio culturale subacqueo. Davidde, inoltre, collabora da tempo con l'Istituto centrale per il restauro e negli ultimi dieci anni ha lavorato con diversi partner europei alla valorizzazione del patrimonio subacqueo. Musas, acronimo di Musei di archeologia subacquea, è uno dei progetti messi in campo con risorse europee di un Pon Cultura. «Abbiamo curato il rilievo in 3D, cioè ricostruzioni tridimensionali, di alcuni siti sommersi - spiega Davidde al Sole 24 Ore - come l’antica Villa dei Pisoni, il Ninfeo Imperiale sommerso di Punta Epitaffio, a Baia tra i Campi Flegrei, il porto romano di Egnazia in Puglia».
«È la prima volta che nasce una Soprintendenza con questa specializzazione - aggiunge Davidde -. Sinora c’era la Soprintendenza del mare della Regione Sicilia che, essendo autonoma, gestisce anche i propri beni culturali, ma per il resto d’Italia i beni che sono sott'acqua erano generalmente affidati alle singole Soprintendenza. Quest’ultime si occupavano sia dei beni archeologici a terra che di quelli in mare. Anche se spesso, all’interno delle Soprintendenze, c'erano nuclei di archeologia subacquea istituiti dal ministero nel 1997 che negli anni si sono occupati dei beni culturali del mare».
«Il problema che abbiamo avuto riguarda più che una carenza di personale, una carenza di programmazione e di fondi. È evidente - spiega Davidde - che ispezionare e documentare reperti che sono ad una certa profondità non è uguale al lavoro che si fa in un'area urbana, in campagna o durante uno scavo, quando magari emergono resti di una domus romana. Qui servono attrezzature specifiche ed equipaggiamento. Noi spesso usavamo le imbarcazioni dei Carabinieri, del Nucleo di tutela del patrimonio culturale, dei Vigili del Fuoco, della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza, oppure le prendevamo in nolo direttamente se c'erano progetti assistiti da fondi specifici».
Non solo controllo e tutela la mission che attende Davidde. «Le tecnologie - spiega la soprintendente nazionale - ci permettono di far conoscere questi beni sia a chi è a casa, davanti al proprio pc, sia a chi si immerge. Al computer è possibile ammirare un video a 360 gradi, una visita immersiva che ci mostra come quei beni erano in passato e come apparivano. Allo stesso tempo, per coloro che vanno sott’acqua sono a disposizione dei tablet speciali, progettati ad hoc, i quali, attraverso un sistema acustico di trasmissione dati molto innovativo, permettono ai subacquei di vedere la realtà aumentata. In pratica scoprono il rudere come era nell’età antica».
La zona al largo di San Pietro in Bevagna, poco distante da Manduria nel Tarantino, sarà prossimamente interessata da questa possibilità di visione. «Attraverso fondi dell'Istituto centrale per il restauro, ci stavo già lavorando col mio gruppo - aggiunge Davidde -. Si tratta di 22 sarcofagi, di un carico naufragato a causa di una tempesta. È una immersione bella e facile perché siamo a 3-4 metri di profondità, a 100 metri dalla riva, col mare che copre e scopre i sarcofagi che spesso si insabbiano. Parliamo di reperti che risalgono al terzo secolo Dopo Cristo». Se raggiungere e ispezionare i beni sommersi non è proprio agevole, eguale problema si pone anche per la loro tutela rispetto a furti e saccheggi. «È evidente - rileva Davidde - che più lontani sono dalla costa, più questi beni culturali necessitano di attenzione e di protezione. Grazie alle collaborazioni che abbiamo con le Capitanerie di porto, con le forze armate e con le forze di polizia, queste ci aiutano nel controllo anche durante le normali attività di vigilanza che svolgono sul mare o nel corso delle esercitazioni. Loro conoscono il posizionamento dei relitti e quindi possono ispezionare. È chiaro però che bisogna pensare ad un sistema di controllo fatto da sensori e da boe intelligenti. Non abbiamo per ora una copertura sistematica, in Sicilia è stato fatto qualcosa e Baia ed Egnazia sono le altre aree da monitorare con telecamere che permettano di controllare l'accesso ai reperti».
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