LA GEOGRAFIA elettorale

Così vicine, così lontane. Perché città e province votano in maniera opposta

di Alberto Magnani

4' di lettura

Per scovare gli ultimi fortini del Pd in Italia bisogna aguzzare la vista, ma si può andare a intuito. In un paese spaccato a metà fra la destra di Salvini al nord e i Cinque stelle di Di Maio a sud, alcune eccezioni arrivano dalla capitale storica, quella «morale» e quella effettiva: Torino, Milano, Roma. A Torino, nella circoscrizione 1 del Piemonte, il costituzionalista del Pd Andrea Giorgis ha incassato il 40,93%. Nella Lombardia che ha appena eletto alla regione il leghista Attilio Fontana, Milano fa storia a sé con la vittoria di candidati coalizzati con Renzi come Mattia Mor (al 40,13%) e Bruno Tabacci (41,23%). A Roma il premier uscente Paolo Gentiloni è arrivato al 42,06% al Quartiere trionfale, insieme ai successi di Marianna Madia (37,8%) e a quello del radicale Riccardo Magi (32%). Poi il vuoto, a parte i rimasugli dell’egemonia in Emilia-Romagna e Toscana (con Delrio nella sua Reggio-Emilia, Pier Carlo Padoan a Siena e l’inusuale Casini a Bologna) e qualche acuto solitario, come Boschi a Bolzano.

La geografia elettorale uscita dalle urne del 4 marzo non raffigura solo la polarizzazione fra un nord a monopolio leghista e un centrosud virato in massa sul voto ai Cinque Stelle. Descrive anche una spaccatura profonda fra la «bolla» culturale delle grandi città e il voto delle province: due mondi che non dialogano, con presupposti, ansie ed esigenze diversissime. Nel Veneto che fornisce all’economia italiana l’8,6% del suo tessuto imprenditoriale, la Lega anti-euro e anti-Jobs act di Salvini ha conquistato picchi del 40%. La stessa percentuale andata ai Cinque stelle in collegi dell’area metropolitana di Roma, come Pomezia. E tornando in Lombardia, il centrodestra a traino leghista è volato fino al 50% nei territori di Lecco e Varese, tracciando una linea di demarcazione nettissima rispetto a Milano e al «microcosmo» d’élite che anima il capoluogo lombardo. È abbastanza indicativo che un sondaggio svolto tra gli studenti della Bocconi, l’ateneo milanese di Mario Monti, eleggesse in cima alle preferenze degli studenti il Pd (32,8%) e +Europa (oltre il 23%). Rispettivamente, il 13 e il 21,5% in più dei voti raccolti su scala nazionale dall'uno e l'altro partito.

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Così vicine, così lontane
La frattura fra città e provincia affiora anche dai dati sulla popolazione residente. Un’analisi di Youtrend, una società di ricerca, ha mostrato che la curva dei consensi per il centrosinistra cresce di pari passo con la popolazione, dai minimi nelle comunità sotto ai 5mila abitanti a massimi del 30% in città sopra i 300mila residenti. Il Movimento cinque stelle parte da una base intorno al 30% nei paesi sotto i 5mila abitanti, per impennarsi sopra al 35% nella città dai 50mila ai 100mila abitanti e ripiegare al 30% nelle città sopra i 300mila residenti. Il centrodestra capeggiato dalla Lega di Salvini, all’estremo opposto, crolla da picchi di oltre il 40% nei comuni più piccoli (dai 5mila abitanti in giù) a meno del 30% nella città che si avvicinano al mezzo milione di abitanti. Lo scenario demografico che ne emerge conferma la sensazione ammessa anche dai (tanti) sconfitti dell’ultima tornata elettorale. Se un votante su due si affida a partiti giudicati antisistema, i Cinque stelle e la Lega, è anche perché la linea di forze come il Pd di Renzi è ritenuta «elitaria». Nell’accezione negativa del termine: qualcosa che esclude, non che guida. Il ragionamento si può applicare anche a sinistra e destra, dal flop di Liberi e Uguali alla perdita di influenza di Forza Italia, diventata improvvisamente alleata in una coalizione che pensava di coordinare dall’alto.

Viceversa, Lega e Cinque stelle sembrano interpretare di più i sentimenti di un elettorato che si scontra su problemi tangibili, o avvertiti come tali. Se la Milano «che guarda all’Europa» ha dato fiducia all’imprenditore Mor e all’ex Udc Bruno Tabacci, la provincia di Sondrio ha assegnato quasi il 6o% dei suoi consensi a Ugo Parolo, un consigliere regionale leghista che dichiara di «svolgere la sua attività lavorativa come amministratore dell'impresa edile detenuta in comproprietà con il fratello». Cioè sul famoso «territorio», a contatto con colleghi che si lamentano dell’assenza di collegamenti più rapidi con Brescia per il trasporto merci. «Ci ha portato 200 milioni in cinque anni» si entusiasmano i suoi sostenitori online, lasciando trasparire la natura più pragmatica che ideologica della scelta in cabina. Un copione simile a quello che si legge a Roma, nello sbalzo tra il voto cittadino e quello della sua ex provincia. Al quartiere Gianicolese, l’Emma Bonino che propone di congelare la spesa pubblica e aumentare l’accoglienza raggiunge quasi il 40%. Ma basta spostarsi poco fuori dalla capitale per salutare l’elezione di Giulia Lupo, un’assistente di volo ragusana che lavora per Alitalia ed è stata eletta fra le liste dei Cinque Stelle. Neppure a dirlo al collegio di Fiumicino, uno degli scali che ha subìto le alterne fortune della ex compagnia di bandiera.

Il sociologo Nuvolati: è già successo negli Usa, le geometrie cambiano
Lo scollamento tra voto «cittadino e rurale» non è un’esclusiva italiana. Giampaolo Nuvolati, professore di Sociologia dell'ambiente e del territorio alla Bicocca di Milano, fa notare che «è successo lo stesso nella Gran Bretagna con la Brexit e negli Usa con Trump: New York e Los Angeles votavano democratico, le campagne in massa per i repubblicani». Secondo Nuvolati, siamo entrati in una fase di «geometrie varabili» che stravolge una fotografia rimasta statica per anni. L’Italia divisa fra regioni conservatrici, moderate e progressiste è diventata fluida, più sensibile alle proposte a impatto immediato che alle basi valoriali. «Si ricorda quando in Veneto erano tutti democristiani? Ecco, ora votano tutti Lega. E l’Emilia non è più “rossa” - spiega - Sta cambiando la geografia e la politica dovrebbe iniziare a capirlo». Anche il dualismo città-provincia rischia di essere limitativo. Basta uscire dal centro delle «elitarie» Milano e Torino per imbattersi in realtà diverse, inclini a votare al di fuori dei vecchi schemi dei partiti. «Non dimentichiamoci, c’è una polarizzazione forte anche fra il centro e le periferie - dice Nuvolati - Perché è anche lì che si concentra il disagio. E il voto di protesta».

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