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«La cosmetica è uno dei fiori all’occhiello del made in Italy. Un un comparto che dà lustro all’Italia e che genera ricchezza e posti di lavoro»: così il presidente del consiglio Giorgia Meloni ha aperto l’Assemblea pubblica 2023 di Cosmetica Italia, l’associazione nazionale delle imprese cosmetiche. Un settore che ha chiuso il 2022 con un fatturato di 13,2 miliardi di euro, in aumento del 9% rispetto al 2019, anno pre-crisi pandemica, e che quest’anno dovrebbe mettere a segno un’ulteriore crescita del 7,7% a 14,2 miliardi.
«Non tutti sanno - continua Meloni - che le competenze, la manifattura, la ricerca e lo sviluppo di questo settore sono in Italia e che alle imprese italiane si affidano anche i più grandi marchi al mondo. Tanto è vero che il 67% del make-up consumato in Europa, e il 55% di quello usato nel mondo, viene prodotto in Italia. Ed è la ragione per la quale questo Governo intende rivolgere a questo comparto la stessa attenzione che viene riconosciuta a settori più noti anche al grande pubblico come la moda, l’agroalimentare, il design e l’automotive».
A conferma della vocazione internazionale delle nostre aziende cosmetiche sono i dati sulle esportazioni che portano la bilancia commerciale al valore record di 3,2 miliardi a fine 2022 grazie all’export che pesa per il 42% a quota 5,6 miliardi (+15,8% rispetto al 2021) e che si prevede arriverà a 6,2 miliardi (+10%) nel 2023.
«I numeri testimoniano quanto il comparto sia solido e maturo, in grado di affrontare scenari estremamente complessi e sfidanti - aggiunge Benedetto Lavino, presidente di Cosmetica Italia -. E di quanto sia capace di creare una spirale virtuosa con chi è connesso a monte a valle, dai fornitori alla distribuzione, con un forte impatto sull’internazionalizzazione».
Secondo uno studio condotto da Althesys, il sistema della cosmetica in italia nel 2021 ha generato un valore condiviso pari a 22,3 miliardi di euro nel 2021, pari all’1,25% del Pil. Valore condiviso è sinonimo di benefici per la collettività. Basti pensare che il 90% delle ricadute dirette è percepito dallo Stato, dai lavoratori e da altre aziende della filiera. La contribuzione fiscale generata è di 6,7 miliardi di euro tra filiera e indotto; il 30% del valore creato è distribuito allo Stato attraverso le varie imposte e i contributi. Significativa è anche la ricaduta occupazionale: 6,3 posti di lavoro aggiuntivi nella filiera allargata per ogni addetto dell’industria cosmetica. Inoltre, le aziende dedicano a salari e contributi 6,4 miliardi di euro, dando lavoro a circa 155mila addetti nella catena che va dalla produzione alla distribuzione. Il numero dei lavoratori sale a 390mila includendo i canali professionali di estetica e acconciatura.
«Il sistema a filiera, caratterizzato da piccole e grandi imprese legate da fili invisibili ma molto solidi, è il metodo che ha permesso al settore della cosmetica di recuperare molto velocemente. La filiera cosmetica si è dimostrata resiliente, ha recuperato i livelli pre-pandemia superandoli - afferma Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per le Filiere e le medie imprese -. La filiera cosmetica va sostenuta per il valore economico e per la particolare fragilità che potrebbe avere in quanto è una filiera che fa ricerca e sviluppo, che sta affrontando molto velocemente la doppia transizione, digitale e ambientale».
Il ministro per le imprese e il made in Italy Adolfo Urso aggiunge: «Il sistema della cosmetica è uno degli asset più importanti dell’export, il simbolo del benessere, eccellenza del made in Italy. Sosteniamo l’innovazione e la formazione tecnica. Stiamo lavorando ad un’operazione di riqualificazione delle competenze a ogni livello per creare sinergia tra formazione e impresa. Sull’innovazione tecnologica stiamo lavorando anche in sede europea e in sinergia con il ministro Fitto per ottenere le risorse necessarie a rilanciare il piano 5.0 per sostenere le nostre imprese nella doppia transizione green e digitale. Nel contempo, siamo impegnati ad evitare che i nuovi regolamenti europei su imballaggi, microplastiche e acque reflue siano vessatori per le imprese italiane che proprio sulla sostenibilità e sul benessere dei consumatori hanno investito più di tutte».
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