Cota, Montaruli e Tiramani, sui rimborsi sfruttata la prassi dell’assenza di controlli
Spese eccentriche rispetto ai fini istituzionali e rimborsi chiesti in assenza di qualunque verifica. La Cassazione deposita le motivazioni delle condanne
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
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Richieste presentate, in larga parte, per spese che in alcun modo avrebbero potuto essere ricondotte ai fini istituzionali del gruppo politico di appartenenza. E questo anche grazie all’esistenza «di una prassi amministrativa del tutto omogenea, quasi trasversale, riguardante la presentazione delle richieste in assenza di qualsivoglia forma di controllo o verifica, rispetto alla ciascuno dei consiglieri, così come i capigruppo coinvolti, non ha mostrato alcun approccio critico di dubbio». Con queste motivazioni Suprema corte ha messo la parola fine al filoni del processo Rimborsopoli, confermando le condanne, decise in Appello-bis dalla Corte d’appello di Torino a dicembre del 2021 per l’uso improprio dei fondi dei gruppi in Consiglio regionale durante la consiliatura 2010-2014. Confermati un anno e 7 mesi all’ex presidente della Regione, Roberto Cota (Lega), un anno e 5 mesi per il deputato leghista Paolo Tiramani attuale sindaco di Borgosesia. Mentre ottiene lo sconto di un mese per la prescrizione per il capo di imputazione relativo al finanziamento illecito dei partiti, la ex sottosegretaria e parlamentare Augusta Montaruli (Fratelli d’Italia), condannata in via definitiva a un anno e 6 mesi.
La consapevolezza dell’uso improprio
Per la Suprema c’è l’elemento psicologico del reato: La vicenda non si colloca - spiegano i giudici - in «uno scenario anonimo e privo di elementi peculiari». Si tratta di fatti storici, avvenuti «in un contesto caratterizzato dall’appartenenza dei ricorrenti, assieme ai rispettivi capigruppo, ad un medesimo corpo politico amministrativo; le funzioni ricoperte e il grado di conoscenza tecnica della legislazione e della normativa secondaria - si legge nella sentenza - lascia spazi evidentemente ridotti ad errori o interpretazioni non coincidenti con lo spirito delle norme che regolano il funzionamento e la gestione dei fondi assegnati ai gruppi politici». Lo stesso, concludono i giudici, vale per la gestione dei fondi «trattandosi di risorse pubbliche che impongono agli amministratori e ai componenti degli organi politici degli enti un approccio attento e scrupoloso» . Un’attenzione che non c’è stata, tanto da far affermare ai giudici che gli imputati era consapevoli dell’illecita destinazione delle somme a spese bollate come del tutto eccentriche rispetto alle finalità proprie del fondo posto a disposizione del gruppo consiliare».
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