Interventi

Covid-19 e sfida digitalizzazione, ultima chiamata per l’Italia

di Duccio Vitali

4' di lettura

Il Covid-19 e le sue conseguenze hanno acceso i riflettori sulla digitalizzazione, evidenziando il ritardo strutturale che vive il nostro Paese rispetto al resto d’Europa. Ne è un esempio la diffusione dell’e-commerce. Lo scorso anno solo il 10% delle imprese italiane vendeva online i propri prodotti e solo il 44% degli italiani acquistava sul web rispetto al 68% degli europei. Un gap che dipende più dal ritardo delle nostre aziende che dal comportamento dei consumatori.
I dati raccolti durante il lockdown descrivono però un quadro profondamente cambiato: nel mese di marzo l’e-commerce è cresciuto del 20% rispetto a marzo dello scorso anno, del 28,2% ad aprile ed ha subito un’ulteriore accelerazione anche in Fase 2, registrando a maggio un balzo del 41,7% (Istat). E le previsioni dell’e-commerce per il 2020 prevedono un salto complessivo compreso tra il 35% e il 40% rispetto al 2019.
Questi dati dimostrano che l’approccio delle persone nei confronti del digitale è cambiato. Radicalmente. Il lockdown prima e il distanziamento sociale poi hanno infatti innescato un’evoluzione nelle abitudini dei consumatori, che in Italia ha anticipato il mercato trainando imprese e istituzioni. Ed è questa tendenza che le aziende devono cogliere, per ripensare profondamente il proprio modello di business in ottica di omnicanalità.

Il contesto creato dal Coronavirus deve essere letto come una sfida che non si può più rimandare, un’opportunità imperdibile per innovare il sistema imprenditoriale e produttivo italiano.È necessario dunque che le aziende ripensino e trasformino anche le modalità di lavoro tradizionali. Prendiamo ad esempio lo Smart Working che, prima del Coronavirus, veniva utilizzato solo marginalmente dalle nostre imprese: dal 58% delle grandi aziende, dal 12% delle Pmi e dal 16% delle PA (Osservatorio Politecnico di Milano). Con l’esplosione della pandemia il lavoro da remoto è stato invece imposto massivamente, mettendo alla luce i vantaggi in termini di produttività, inclusività del lavoro e occupazione. Ma i veri vantaggi dello Smart Working possono essere colti solo se vengono digitalizzati i processi sui cui si fondano le operations di un’azienda. Basti pensare alla maggior parte delle banche, che per processare un’operazione hanno ancora bisogno della firma in presenza. Insomma, non basta munire i propri dipendenti di pc e smartphone.E questa è solo la punta dell’iceberg. Bisogna entrare nell’ottica che la digitalizzazione è ormai strategica in ogni settore. Quali enormi vantaggi ne ricaverebbero ad esempio la Pubblica Amministrazione oppure la Scuola?

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È fondamentale che una parte dei finanziamenti messi in campo vengano destinati a rendere moderne queste infrastrutture: tecnologie digitali e dati devono diventare la base su cui costruire una nuova Pubblica Amministrazione, più efficace ed efficiente, dove tutto è misurabile (e migliorabile) in modo trasparente. E in ottica di medio e lungo periodo va ripensato un modello scolastico, praticamente immutato dal dopoguerra, che formi una nuova classe di middle manager e operativi in grado di sfruttare le tecnologie esistenti per attuare l’auspicato recupero di competitività e crescita.L’impatto del Covid-19 ha avuto effetti devastanti sull'economia del Paese, colpendo settori che contribuiscono significativamente al nostro Pil. Un esempio fra tutti la Cultura: il “Turismo Culturale” in Italia, fatto in larghissima parte da stranieri, genera delle esternalità positive che superano i 100 miliardi di euro l’anno. L’ltalia è il primo Paese al mondo per numero di siti culturali iscritti al Patrimonio Unesco, visitati ogni anno da circa 110 milioni di persone. Le misure di distanziamento sociale e il fortissimo calo del turismo estero stanno generando un enorme mancato guadagno per l’indotto sull’intero territorio nazionale. Anche in questo caso, il lockdown ha portato l’attenzione sul drammatico ritardo italiano nell’utilizzo della tecnologia nella fruizione del nostro patrimonio artistico.

In Italia solo un museo su 10 ha effettuato la catalogazione digitale del patrimonio posseduto, solo la metà degli istituti ha un sito web dedicato e solo il 10% dei musei offre la possibilità di visitare virtualmente il proprio sito.È necessario ripensare anche il modo in cui viviamo la cultura, integrando il percorso “fisico” con l’esperienza digitale. In questo modo si può costruire un’offerta differenziata, con narrazioni, contestualizzazioni storiche e linguaggi diversi e ciò arricchirebbe certamente l'esperienza del visitatore generando ulteriore valore e renderebbe i nostri musei davvero competitivi rispetto ai vicini europei.

Al netto dei danni arrecati all’intero sistema, questa crisi ha messo in luce come il digitale possa veramente essere una leva per creare valore e la discriminante nel medio termine sarà quanto le aziende sapranno cogliere questa sfida per adeguare il loro modello di business alla nuova realtà che il digitale ha creato. L’altra faccia della medaglia è che la crisi rappresenta davvero un’opportunità di evolvere e cambiare. Questo non è il momento di posticipare ancora una volta e di nascondersi dietro la paura. Dobbiamo cogliere la sfida. Vincerla significherebbe avere un vantaggio competitivo enorme. Perderla entrare definitivamente in un circolo vizioso per la nostra economia.

amministratore delegato di Alkemy

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