minoranze dimenticate

Covid-19 non avrai il nostro scalpo

La pandemia negli Stati Uniti ha già causato più di 110 mila morti colpendo soprattutto le minoranze etniche, tra queste quella in assoluto più minacciata, e forse meno raccontata, è quella dei nativi americani

di Marco dell'Aguzzo

Il personale della Guardia Nazionale dell'Arizona prepara i dispositivi di protezione individuale per la comunità Navajo a Chinle, nella riserva militare di Papago Park. (Credit Sergeant Kelly Greenwell)

2' di lettura

La pandemia di Covid-19 ha causato più di 110mila morti negli Stati Uniti, superando la soglia ritenuta accettabile dal presidente Donald Trump. Ma la malattia non sta colpendo tutti allo stesso modo. I dati, quando disponibili, mostrano che il virus contagia e uccide le minoranze etniche – soprattutto gli afroamericani e gli ispanici – in percentuale maggiore rispetto ai bianchi: segno di quanto pesino le disuguaglianze sociali ed economiche anche durante una crisi sanitaria.

Ma la minoranza in assoluto più minacciata, e forse meno raccontata, è quella dei nativi americani. Se la Riserva Navajo – un territorio vasto e arido fra Arizona, New Mexico e Utah – fosse uno Stato, avrebbe il tasso di contagio più alto di tutta l'America, anche più di quello di New York: oltre cinquemila casi confermati su un totale di 173mila abitanti. La povertà, frutto di decenni di discriminazione e di scarsa attenzione da parte del governo federale, ha facilitato la diffusione del Coronavirus.

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Molti indiani Navajo vivono negli hogan, piccole abitazioni tradizionali dove la convivenza fra generazioni diverse è stretta e il distanziamento praticamente impossibile. In un terzo delle case della Riserva manca ancora l'acqua corrente, e anche un atto all'apparenza banale come il lavaggio frequente delle mani – fondamentale per ridurre il rischio di infezioni – può diventare complicato.

A livello nazionale, è difficile farsi un'idea precisa di quanti indiani d'America siano deceduti a causa del Covid-19 perché la loro etnia non compare in tutte le statistiche sulle vittime; già prima dello scoppio dell'epidemia, però, avevano un'aspettativa di vita inferiore alla media (73 anni invece di 78). Tra i popoli nativi sono molto diffuse l'obesità, la cardiopatia e il diabete, patologie che aumentano i rischi qualora si contragga il virus. C'è, infine, un problema di assistenza medica: il Servizio sanitario indiano non riceve finanziamenti sufficienti da Washington e non offre copertura a coloro che vivono al di fuori delle riserve.

Oltre alla salute, la pandemia minaccia il loro sostentamento economico. Il virus ha imposto la chiusura ai turisti di tutti i parchi Navajo (niente tour guidati per l'Antelope Canyon, per esempio). E ha imposto la chiusura dei casinò, altra fonte di entrate fondamentale: il 40 per cento delle 574 tribù riconosciute negli Usa ne gestisce uno, un giro d'affari che garantisce al governo entrate fiscali per 17 miliardi l'anno. Per i popoli indigeni, infine, questa crisi ha anche una dimensione culturale.

La malattia colpisce soprattutto le persone in età avanzata, che custodiscono la memoria delle usanze per tramandarle ai più giovani. Non sono rimasti in tanti a parlare fluentemente le lingue native, a conoscere l'etimologia delle parole e il loro corretto utilizzo nelle cerimonie. Per ogni anziano che muore, un pezzo di identità indiana rischia di andarsene con lui.

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