Covid, ecco chi si reinfetta di più nella fase attuale e perché
Nell’ultima settimana la percentuale sul totale dei casi segnalati risulta pari a 4,1%, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità
di Nicola Barone
I punti chiave
3' di lettura
La fase attuale di circolazione del coronavirus, accanto alla relativa scarsa pressione sugli ospedali malgrado numeri alti nei contagi, sta mostrando anche una dinamica al rialzo delle reinfezioni. Dal 24 agosto 2021 al 6 aprile 2022 sono stati segnalati 319.005 casi di reinfezione, pari a 3,1% del totale. Stando ai dati dell’Istituto superiore di sanità, nell’ultima settimana la percentuale sul totale dei casi segnalati risulta pari a 4,1%, in aumento rispetto alla settimana precedente in cui la percentuale era pari a 3,5%.
Donne e giovani tra i più colpiti
L’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021 evidenzia un aumento nelle persone con prima diagnosi di Covid notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro quel termine. Poi, nelle femmine rispetto ai maschi. «Il maggior rischio nei soggetti di sesso femminile può essere verosimilmente dovuto alla maggior presenza di donne in ambito scolastico (>80%) dove viene effettuata una intensa attività di screening e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito famigliare», scrivono gli esperti dell’Iss. Ancora, nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. Per gli esperti «verosimilmente il maggior rischio di reinfezione nelle fasce di età più giovani è attribuibile a comportamenti esposizioni a maggior rischio», rispetto alle fasce d’età superiori ai 60 anni. Infine, negli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione.
Il ruolo chiave delle varianti
A tutto ciò si aggiungono fattori intrinsecamente legati all’evoluzione di SARS-CoV-2. «La famiglia Omicron (comprese sottovarianti) è una variante molto contagiosa con un Rt pari a quello del morbillo (16/18), quindi basta molto poco per infettarsi e tutto dipende dal comportamento delle persone e in particolare dall’uso delle mascherine che, anche se tolte all’esterno, vanno indossate in caso di assembramenti. E assolutamente ancora al chiuso», segnala Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma. «L’analisi dell’Iss evidenzia alcune classi a maggior rischio, attenzione, non perché il virus discrimini. Il virus fa il suo lavoro di infettare e riprodursi all’infinito».
Verso la stagione più calda
Sul piano più generale «avere un rischio di reinfezione è plausibile poiché chi si e infettato ad esempio con la variante Delta può reinfettarsi con Omicron, parliamo infatti di differenti varianti. Il colpire una classe di età rispetto ad un’altra, o un genere rispetto a un altro, dipende solamente dal differente fattore di rischio a cui sono sottoposti e al comportamento individuale, non certo dal virus». Però, avverte Ciccozzi, «se da un lato è molto semplice il contagio, di contro chi ha le tre dosi di vaccino avverte sintomi di malattia molto leggeri come un mal di gola, febbricola, niente più di un grande raffreddore insomma». Per evitare conseguenze peggiori cruciale si conferma così la vaccinazione con tre dosi. «Mentre la quarta è raccomandabile solo per persone molto anziane o assai fragili, non per tutti. Poiché è un vaccino diciamo “vecchio”, che dà protezione con anticorpi circolanti per un paio di mesi, si conta di arrivare fino alla soglia della stagione calda vera e propria».
Immunità di gregge, perché è una chimera
La quota di reinfezioni documentate, a volte verificatesi in tempi relativamente brevi dopo l’infezione iniziale, così come l’alto numero di infezioni con Omicron anche tra i completamente vaccinati, implica che l’immunità di gregge è con ogni probabilità impossibile, anche se la sieroprevalenza raggiungesse - fatto puramente teorico - il 100 per cento. Ciò dimostra quanto fare assegnamento sull’immunità di gregge per gestire il Covid, piuttosto che su strategie di contenimento fino alla disponibilità su larga scala di un vaccino, sia stata una scommessa persa da molti Paesi (e vinta dall’Italia). Proprio per la presenza di varianti il coronavirus continuerà a circolare e a reinfettare le persone.
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