Censis: sussidi a 14 milioni di italiani. Spariti 5 milioni di lavoratori in nero. La paura spegne i consumi
A ottobre spesa superiore a 26 miliardi di euro per i sussidi erogati dall'Inps. Come dieci mesi di pandemia hanno colpito l’Italia
di Andrea Carli
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L’annus horribilis dell’emergenza Coronavirus, dei lockdown, dello smart working, ma anche delle rianimazioni negli ospedali sotto stress e delle persone che non ce l’hanno fatta è allo stesso tempo l’anno della “bonus economy” - trasferiti in media 2.000 euro a testa a un quarto della popolazione - e quello di una frattura sempre più netta tra i garantiti e i non garantiti, i quali ora temono la “discesa agli inferi” della disoccupazione. A raccontare l’Italia di questi difficili mesi caratterizzati da un corpo a corpo quotidiano con la pandemia è il capitolo “La società italiana al 2020” del 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato venerdì 4 dicembre. L’Italia è anche il paese della scuola degli esclusi: solo l'11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti.
I garantiti assoluti
Per l'85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione, una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un “silver welfare” informale.
Le “sabbie mobili”
Poi, osserva il Censis, si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. C'è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva.
Gli scomparsi e i vulnerati inattesi
C'è poi l'universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l'epidemia, avviare un'impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e nel Paese dell'autoimprenditorialità solo il 13% lo considera ancora una opportunità.
Ricchi e poveri: l'impatto divaricante del virus
Il 90,2% degli italiani è convinto che l'emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l'anno, con una media di 606.210 euro pro capite. Corrispondono allo 0,1% del totale dei dichiaranti. Mentre sono 1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): sono pari al 3% degli italiani adulti, ma possiedono il 34% della ricchezza del Paese.
I mille volti dei sussidi ad personam
A ottobre i sussidi erogati dall'Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa. La valutazione positiva dei bonus è molto alta tra i giovani (83,9%), più che tra gli anziani (65,7%). Per questi ultimi è un meccanismo che può generare dipendenza (25,1%) e rischia di mandare fuori controllo il debito pubblico (18,1%). Ma solo il 17,6% dei titolari di impresa ritiene che le misure di sostegno saranno sufficienti a contrastare le conseguenze economiche dell'emergenza.
Sistema Italia, una ruota quadrata che non gira
Il risultato della concatenazione di tutti questi fattori è un sistema-Italia che prende la forma di una ruota quadrata che non gira. Avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai, mette in evidenza il rapporto del Censis, lo si era visto così bene come durante quest'anno eccezionale, sotto i colpi dell'epidemia.
L’individualismo è stato il migliore alleato del virus
Privi di un Churchill a fare da guida nell'ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali. Uno degli effetti provocati dall'epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d'allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema.
Lo Stato come salvagente
Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell'emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell'epidemia saranno molte.
La scuola degli esclusi
Solo l'11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti. Nel 18% degli istituti ad aprile mancava all'appello più del 10% degli studenti. Il 53,6% dei presidi sostiene che con la didattica a distanza non si riesce a coinvolgere pienamente gli studenti con bisogni educativi speciali. Il 37,4% teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e per la prevenzione della dispersione scolastica. Tra gli oltre 800.000 studenti non italiani, i soggetti più a rischio sono le prime generazioni (circa il 47% del totale), che incontrano maggiori difficoltà per ragioni linguistiche e culturali. C'è poi una tipologia di studenti per i quali la socialità che si instaura nelle aule scolastiche è insostituibile: gli alunni con disabilità (circa 270.000 persone solo nelle scuole statali) o con disturbi specifici dell'apprendimento (circa 276.000).
Una vita da remoto
Il Censis stima che quasi 43 milioni di persone maggiorenni (tra queste, almeno 3 milioni di novizi) siano rimaste in contatto con i loro amici e parenti grazie ai sistemi di videochiamata che utilizzano internet. Il lockdown ha generato nuovi utenti e ha rafforzato l'uso della rete da parte dei soggetti già esperti. Ma almeno un quarto della popolazione a un certo punto è andata in sofferenza. Anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell'uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate.
Solo 2 italiani su 10 hanno fiducia nelle istituzioni Ue
Un passaggio del rapporto si concentra sull’Europa. Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell'immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%).
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