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Covid, meno ricoveri ma nuove varianti sotto osservazione. Arriva la Bythos

Secondo le rilevazioni della Fiaso riprende in modo significativo la discesa delle ospedalizzazioni, -22% nell’ultima settimana

di Nicola Barone

Covid, La scienza fa quadrato: "Difendiamo chi era in prima linea"

3' di lettura

Anche in Italia si registrano primi casi di Covid-19 dovuti alla sottovariante XBF di Omicron, denominata Bythos. Stando all’ultimo bollettino dell’Istituto superiore di sanità, sono 149 nell’arco delle ultime sei settimane. a metà febbraio l’Oms ha messo la nuova sottovariante sotto osservazione anche se la sua comparsa non è un fatto recente. Tutto questo mentre riprende in modo significativo la discesa dei ricoveri.

Report Fiaso, giù i ricoveri e le intensive

Il dato che emerge dalla rilevazione degli ospedali sentinella aderenti alla rete della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere del 7 marzo 2023 segna -22% nell’ultima settimana, e anche le intensive segnalano -19% di pazienti con infezione da coronavirus. In particolare i ricoveri «per Covid», ovvero pazienti con insufficienza respiratoria o polmonite, sono il 35% dei casi con infezione da SARS-CoV-2 negli ospedali. Hanno un’età media di 69 anni e nell’86% dei casi sono vaccinati da oltre sei mesi e soffrono di altre patologie. Giù anche i ricoveri «con Covid», ovvero pazienti che sono arrivati in ospedale per la cura di altre patologie, sono positivi al virus ma non hanno sintomi respiratori e polmonari. Rappresentano il 65% dei pazienti Covid, il 73% risulta vaccinato da oltre 6 mesi. Nelle terapie intensive i ricoveri sono distribuiti equamente tra pazienti «per Covid» e «con Covid» e il 72% risulta vaccinato da oltre 6 mesi.

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Cosa sappiamo di Bythos

Bythos è frutto di una ricombinazione tra BA.5.2.3 e CJ.1 e le prime sequenze sono state segnalate a fine luglio. Attualmente è stata riscontrata in 46 Paesi e rappresenta poco più dell’1% dei campioni sequenziati a livello globale, ma possiede mutazioni che possono conferirle maggiore trasmissibilità e capacità di sfuggire alla risposta immunitaria. «Al momento - dice l’Oms - non ci sono prove epidemiologiche che la sotto-variante XBF porti ad un aumento dei casi, dei ricoveri o dei decessi».

Da Omicron meno rischi di sindrome post virus

Di buono c’è che comunque soffrire di Long Covid è «molto meno probabile» dopo avere contratto un’infezione da variante Omicron di SARS-CoV-2, che dopo un contagio da coronavirus pandemico nella sua versione originale. È la conclusione di uno studio svizzero condotto su oltre mille operatori sanitari, che sarà presentato al Congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive (Eccmid 2023, 15-18 aprile, Copenaghen - Danimarca) da Carol Strahm, della Divisione di Malattie infettive ed Epidemiologia ospedaliera dell’Ospedale cantonale di San Gallo. La ricerca ha coinvolto 1.201 operatori di 9 network sanitari elvetici, per l’81% donne, di età media 43 anni, reclutati fra giugno e settembre 2020. L’obiettivo degli autori era valutare i tassi di sequele post-Covid nei “camici” infettati da virus SARS-CoV-2 di tipo “wild”, dalla prima variante Omicron (BA.1) o da entrambi, rispetto a controlli non contagiati.

Le differenze con la versione “wild”

I partecipanti sono stati sottoposti regolarmente a test Covid-19 (tamponi nasofaringei e test anticorpali), hanno fornito informazioni sul proprio stato vaccinale e hanno risposto a tre riprese - nel marzo 2021, nel settembre 2021 e nel giugno 2022 - a questionari online che indagavano su 18 sintomi di Long Covid e sui livelli di affaticamento. I disturbi persistenti riferiti più spesso includevano perdita di olfatto/gusto, stanchezza/debolezza, burnout/esaurimento, perdita di capelli. In sintesi, Strahm e colleghi hanno osservato che gli operatori sanitari infettati dalla prima versione del coronavirus avevano una probabilità di Long Covid fino al 67% maggiore rispetto a quelli non contagiati; un rischio aumentato che nel tempo scendeva al +37%. Tra gli infettati da virus “wild”, la maggior probabilità di fatigue rispetto ai non contagiati era del 45% maggiore all’inizio, per poi calare fino a raggiungere una differenza non statisticamente significativa. Per quanto riguarda invece i guariti da Omicron, rispetto ai non infettati non mostravano un rischio aumentato né di Long Covid né di affaticamento. Si è visto inoltre che reinfettarsi con Omicron dopo un precedente contagio da virus originale non comportava una probabilità maggiore di Long Covid, rispetto a una singola infezione da virus “wild”.

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