Cozze nere di Taranto, marchio e sostenibilità per allontanare la crisi
Sette nuovi bandi del Comune per il rilascio di nuove concessioni di allevamento in aree non inquinate: obiettivo rilancio anche grazie al presidio Slow Food
di Domenico Palmiotti
I punti chiave
3' di lettura
Sostenibilità e tracciabilità guidano il rilancio della cozza nera di Taranto, prodotto ittico molto conosciuto la cui coltivazione è strettamente legata alla storia marinara della città. Il Comune ha lanciato sette nuovi bandi (chiusura il prossimo 25 giugno) per il rilascio di nuove concessioni di allevamento. L'area degli insediamenti produttivi sarà il secondo seno di Mar Piccolo, al riparo da fenomeni di inquinamento.
I danni ambientali degli ultimi decenni hanno infatti compromesso e ridimensionato il settore come addetti e produzione, ma adesso si prova a risalire la china. Anche per aree compromesse come il primo seno di Mar Piccolo, dalle quali attualmente i mitilicoltori devono andare via – su ordinanza regionale – entro fine febbraio per evitare che il prodotto, crescendo e maturando, possa assorbire gli inquinanti, si è trovata una soluzione d’intesa col commissario di Governo alla bonifica dell’area di Taranto. Si è deciso di spostare i mitili in determinate aree del Mar Grande, in una rada aperta, in modo di agevolarne il completamento della maturazione e acquisire elementi utili a definire il quadro ambientale delle zone interessate dalla mitilicoltura.
In particolare, le attività dovrebbero svilupparsi per almeno un anno e consisteranno nel prelevamento dal primo seno di Mar Piccolo di un lotto composto da circa 100 esemplari che sarà trasferito (in apposite calze da mitilicoltura codificate e rese tracciabili) e lasciato maturare nei nuovi siti di Mar Grande per un periodo compreso fra i 15 ed i 45 giorni.
Dopodiché, si procederà all'analisi dei campioni per verificare se la concentrazione degli inquinanti assorbiti dalle cozze durante la permanenza nel primo seno del Mar Piccolo sia eventualmente diminuita.
Dal presidio Slow Food ad un nuovo racconto
Il contrasto ai danni da inquinamento (il primo seno di Mar Piccolo ha assorbito nel tempo gli scarichi delle lavorazioni siderurgiche, navalmeccaniche e cantieristiche) è però solo un tassello della più vasta azione messa in campo. La cozza nera di Taranto è infatti Presidio Slow Food al quale hanno già aderito oltre venti mitilicoltori.
Col presidio, vengono disciplinate le procedure per la produzione della cozza nera tarantina, i suoi standard di qualità e la tracciabilità. I mitilicoltori aderenti sono tenuti a rispettare l’ecosistema, controllare la produzione dei rifiuti e ad applicare procedure per limitare l'impatto ambientale. Il presidio nasce col progetto “ReMar Piccolo: natura e tradizioni per rivivere il mare” ideato dal Comune di Taranto.
Ma le cozze tarantine sono anche protagoniste di uno dei cinque racconti per immagini della campagna “Food heroes” di Slow Food per promuovere le esperienze dei presìdi, così come del primo filtro AR su Instagram, Facebook e TikTok chiamato “Cozza tarantina challenge”.
Le retine biodegradabili per la coltivazione
Inoltre, collegato al presidio e alla sostenibilità c’è un piano di economia circolare basato sulla canapa. Mitilicoltori e Federcanapa hanno testato in mare per cento giorni le nuove retine totalmente biodegradabili realizzate con la fibra vegetale e la sperimentazione ha dato esito positivo. L'uso di questo prodotto ha permesso una migliore crescita del prodotto.
Peraltro, sulle retine biodegradabili era già stato messo in campo un progetto sperimentale tra amministrazione comunale e Novamont, gruppo attivo nelle bioplastiche e titolare del brevetto Mater-Bi.
Infine, come ultimo tassello, va considerata un’ordinanza comunale che vieta l’impianto nel Mar Piccolo di semi o frutti che non appartengano alla specie della cozza nera tarantina. Stabilito un divieto generalizzato di re-immersione di «mitili importati o comunque non autoctoni» in Mar Piccolo al fine di contenere ed eliminare l'inquinamento biologico da specie cosiddette “aliene”. Accadeva infatti che per star dietro alla domanda, molti operatori importassero grandi quantitativi di cozze, le facevano stazionare per un breve periodo nei mari di Taranto e poi le rivendevano come locali.
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