Intervista

Creatività e tecnologia danno nuove chance all’uso del marmo

Edoardo Bonaspetti, direttore artistico Fondazione Henraux, analizza l’evoluzione dell’arte contemporanea e il rapporto con le botteghe artigiane

di Roberto Bernabò

Studio Cervietti . Un artigiano all'opera nel laboratorio di Franco Cervietti, il più grande della città

2' di lettura

I laboratori artistici hanno una storia antica. E sono un pezzo importante dell’economica del territorio. Quali nuove relazioni vede in atto tra artisti e botteghe artigiane? E con quali potenzialità?

«Il marmo ha grandi potenzialità, spesso ancora inesplorate. E specie chi arriva da altre esperienze artistiche può aiutare a scoprire e sperimentare creando nuove opportunità per le botteghe artigiane e per l'investimento in innovazione tecnologica. Dall’altra rispetto al rapporto artista-artigiano di fine anni Novanta e inizio Duemila, quando c'è stata una grande enfasi sull’esternalizzazione dei processi produttivi, con l’idea da parte dell’artista e poi la realizzazione delegata ai laboratori, oggi vedo un ritorno a una relazione forte tra l'artista e la materia».

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Edoardo Bonaspetti è uno dei più brillanti animatori artistici italiani. Fondatore della casa editrice Mousse, oggi è co-direttore di Ordet, uno spazio di produzione artistica e culturale a Milano, e direttore artistico della Fondazione Henraux, la più antica e importante azienda apuo-versiliese di lavorazione del marmo, proprietaria di cave. Azienda che ha appena compiuto 200 anni di vita e che vanta una tradizione anche nel design e nell'arte contemporanea. La Fondazione, voluta dal proprietario Paolo Carli, ha proprio il ruolo di motore di cultura e conoscenza.

«L’obbiettivo della Fondazione – spiega Bonaspetti - è allargare i confini della ricerca. Attraverso mostre e iniziative come il Premio Henraux per i giovani artisti. La prossima edizione, a luglio, non sarà più un concorso aperto ma per chiamata. Con un comitato di 7 membri internazionali, ognuno dei quali presenterà un progetto. L'idea è di individuare artisti che si confrontino con i temi della contemporaneità attraverso il marmo e misurino, dunque, sia le specificità della materia che le potenzialità».

Dunque, la tecnologia da una parte e la sfida culturale dall’altra per ampliare nell’arte le prospettive del marmo?

«Un artista che sceglie il marmo deve essere consapevole delle proprietà. Ma è incredibile come da artisti legati ad esempio a storie figurative si possa arrivare ad utilizzi assolutamente innovativi. Penso al progetto che abbiamo realizzato nello spazio pubblico dell’anfiteatro di Apple in Piazza Liberty a Milano. L’artista franco algerino Neil Beloufa ha raccontato i capitoli di una favola, scritta da lui per la figlia, su quattro installazioni decorate con bassorilievi e intarsi di marmi policromi. Il tutto accompagnato da animazioni digitali. Ma, altro esempio, nel mio primo anno di direzione del Premio, nel 2018, l’opera “Ludwig”, il bambino con cerino di Diego Marcon, che non aveva mai lavorato il marmo, è stato realizzato da un modello 3D. Oggi questa opera è richiesta da musei e mostre e promuove la forza del marmo. Il prossimo intervento come Fondazione sarà invece un importante progetto di arte pubblica a Milano. Che è un altro filone importante anche se oggi le amministrazioni pubbliche dimostrano in giro per l’Italia di avere scarsa forza culturale e fare pochi investimenti».

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