Credito alle imprese e uscita graduale dalla pandemia
di Giovanni Sabatini
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L’attenzione dei supervisori alle evoluzioni del rischio di credito, il positivo andamento dell’economia oltre le aspettative, il riacutizzarsi della pandemia sono elementi che stanno alimentando il dibattito circa i tempi e le modalità di un possibile ritiro delle misure emergenziali di supporto introdotte per sostenere la liquidità delle imprese. In proposito mi sembra utile fornire alcuni ulteriori elementi di riflessione.
In primo luogo, è un fatto riconosciuto che il settore bancario italiano si è presentato e sta attraversando la crisi pandemica con i conti in ordine, sotto il profilo tanto della patrimonializzazione quanto della qualità dell’attivo. Secondo gli ultimi dati ufficiali della Banca d’Italia, a giugno 2021 i gruppi e le banche indipendenti operanti in Italia presentavano nel loro complesso un CET1 ratio del 15,2% e un peso dei crediti deteriorati, al netto delle rettifiche, pari al 2% del totale dei crediti. Al di là dei numeri, questi valori sono significativamente migliori della situazione pre-crisi finanziaria (biennio 2006-2007) e ormai pressoché allineati alla media europea. La buona qualità degli attivi bancari è certamente anche frutto delle positive conseguenze di corrette e coerenti politiche economiche, che hanno consentito di limitare gli effetti sull’economia (e quindi a valle sulle banche). La bontà delle misure, che si sono andate sviluppando in un contesto in cui anche le imprese si presentavano molto più solide che in passato, trova riscontro nel fatto che ai primi accenni di moderazione dell’impatto della pandemia, la ripresa è stata immediata (quindi era corretto “traghettare” le imprese, che erano fondamentalmente sane, all’uscita dalla crisi).
Che si possa attraversare una crisi epocale come quella del 2020 senza conseguenze sulla qualità del credito è sicuramente illusorio, ma è anche esagerato pensare che gli esiti saranno simili a quanto sperimentato nel passato. Ciò sia in considerazione dei diversi punti di partenza, sia per il diverso mix di politiche economiche e prudenziali adottate. Le misure adottate fin dall’inizio della crisi pandemica hanno permesso di immettere ampia liquidità, riducendo il rischio di default dei debitori e permettendo un pronto e forte recupero della crescita. A tale positivo sviluppo hanno sicuramente contribuito le moratorie offerte dal settore bancario. In Italia, a fronte di circa 270 miliardi di credito che ha complessivamente beneficiato di provvedimenti di questo tipo, il volume di credito ancora oggetto di moratoria all’inizio di dicembre era sceso a circa 56 miliardi. A fronte della conclusione della sospensione dei pagamenti per circa l’80% dei prestiti inizialmente sottoposti a moratoria non si sono fin qui manifestati significativi effetti sul tasso di default che, secondo i dati Banca d’Italia, a settembre di quest’anno continuava ad oscillare sui suoi valori minimi storici, sia per le famiglie (0,8%) sia per le imprese (1,8%).
La fase di uscita dalle misure di sostegno alle condizioni finanziarie del settore privato determinerà comunque in prospettiva un aumento dei crediti deteriorati e a questa eventualità le banche si sono preparate per tempo, adottando politiche conservative di accantonamento e di classificazione delle esposizioni sottoposte a moratorie o a garanzia pubblica. Ciò è ben rilevabile osservando la quota dei prestiti beneficiari di sostegno al credito classificati nello “stage 2”: secondo gli ultimi dati EBA (giugno 2021), in Italia sono classificate in “stage 2” il 46,7% dei prestiti ancora in moratoria e il 30,2% dei prestiti con moratoria scaduta (incidenze peraltro più elevate della media dei Paesi Ue). Ciò è anche confermato da una recente analisi della Banca d’Italia contenuta nel «Rapporto sulla stabilità finanziaria», che studia la distribuzione per classe di probabilità di default delle imprese affidate, in relazione all’adesione o meno alle diverse forme di sostegno al credito. Se le imprese con probabilità di default maggiore del 5% sono il 21% del totale, tale quota si riduce all’11% per le imprese che hanno goduto delle garanzie statali, al 16% per le imprese con moratoria scaduta, mentre risulta leggermente più elevata per le imprese con moratoria ancora in essere (24%). Quindi sia per le imprese assiste da garanzia pubblica che per quelle con moratoria scaduta non si può
supporre una rischiosità superiore alla media, mentre la contenuta maggiore rischiosità delle imprese ancora in moratoria non sembra comportare rischi eccessivi.
D’altro canto a spiegare questo andamento concorre il diverso punto di partenza delle imprese. Gli indicatori sulle condizioni finanziarie delle imprese mostrano come non solo la loro posizione di liquidità non si sia deteriorata, ma si trovi oggi su valori eccezionalmente elevati: valga per tutti la rilevazione di Banca d’Italia sulle aspettative di inflazione e crescita. Da questa emerge che a settembre di quest’anno il saldo tra imprese che giudicavano più che sufficiente il proprio livello di liquidità e quelle che lo ritenevano insufficiente si collocava sui valori massimi nel periodo di osservazione e di oltre 8 punti percentuali sopra il dato di fine 2019. È interessante anche notare che il saldo riportato per il terzo trimestre di quest’anno, è composto da un 7,7% di imprese intervistate che giudica insufficiente il proprio livello di liquidità, valore minimo storico, contro un 30,6% che lo giudica più che sufficiente, valore massimo storico.
Dunque, da un lato il miglioramento delle condizioni finanziarie dei debitori, in particolar modo delle imprese, riduce di molto il potenziale rischio di credito, dall’altro la maggiore robustezza dei bilanci bancari consente loro di gestire in modo efficace il rischio emergente.
In ogni caso l’incertezza relativamente alle dinamiche epidemiche è ancora molto elevata, e questo risulta condizionante non solo per le prospettive economiche e della qualità del credito, ma anche sul previsto processo di riduzione delle misure di sostegno alle condizioni finanziarie delle imprese. Contrariamente agli auspici, l’uscita dalla pandemia non sembra ancora prossima e, nonostante il contributo essenziale della campagna di vaccinazione per limitare le conseguenze, si rendono ancora necessarie misure restrittive. È questa la variabile chiave che deve guidare in modo pragmatico le decisioni economiche sulle misure di sostegno. Il loro ritiro in un momento in cui sono ancora necessarie, infatti, avrebbe effetti negativi significativi, soprattutto per le imprese operanti nei settori più penalizzati dalla pandemia. È dunque essenziale procedere con adeguata gradualità garantendo, nel momento in cui ci saranno le condizioni per una rimodulazione delle misure di sostegno, un equilibrato ed efficace passaggio dalle misure emergenziali a misure volte a sostenere la ripresa, anche agendo sugli strumenti utili ad agevolare la ristrutturazione dei debiti.
Al riguardo appaiono di rilievo sia interventi sugli strumenti pubblici, come ad esempio il rifinanziamento della “Nuova Sabatini” e la proroga fino al 30 giugno 2022 degli interventi straordinari di garanzia, gestiti dal Fondo di garanzia per le Pmi e dalla SACE, in linea con quanto previsto dal Temporary Framework in materia di aiuti di Stato. Sarebbe altresì necessaria anche la proroga delle garanzie sulle operazioni di ristrutturazione previste dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 13 del DL liquidità, come anche l’emanazione del decreto che renda operativa quanto prima la garanzia SACE “a mercato” per le operazioni di ristrutturazione di finanziamenti o portafogli di finanziamenti. D’altro canto occorre anche pragmatismo nell’assicurare flessibilità al quadro regolamentare bancario, in primis la modifica della regola che impone la classificazione in default del cliente in difficoltà, in caso di rinegoziazione, se a questa consegue una riduzione del valore netto del credito dell’1%. Tale soglia, fissata dall’EBA, è eccessivamente restrittiva e rappresenta un forte disincentivo per la banca a proporre accordi di ristrutturazione con beneficio tangibile per il debitore (dovendo poi classificare quest’ultimo in default, con le relative conseguenze) come anche evidenziato dalla Federazione Bancaria Europea.
Infine, è certamente necessario procedere al completamento dell’Unione Bancaria in modo pragmatico e costruttivo superando le contrapposizioni preconcette che oggi bloccano il processo riducendolo ad uno sterile confronto tra chi ritiene necessarie ulteriori misure di riduzione dei rischi e chi vorrebbe procedere subito ad una condivisione dei rischi. Allo stesso modo sarà importante dare ulteriore impulso alla realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali per favorire anche i processi di ricapitalizzazione delle imprese anche nella prospettiva di assicurare risorse adeguate a supportare la transizione verso sostenibilità e digitalizzazione.
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