Crescita e formazione per aziende più solide
Dopo il rimbalzo del 2021 e la flessione associata alla ripresa nel 2022, quest’anno liquidazioni e fallimenti sono in aumento, anche se è opportuno attendere i dati a consuntivo per trarre conclusioni
di Stefano Manzocchi
3' di lettura
Gli eventi straordinari di questa prima metà degli anni Venti e le politiche economiche e strategie aziendali poste in essere per farvi fronte, ci hanno insegnato a leggere le statistiche con occhi diversi. I dati su liquidazioni e fallimenti non fanno eccezione, con il 2020 come singolarità che ha fatto registrare un numero di eventi più basso della norma per via delle misure adottate per tenere “in sospeso” la struttura economica nei mesi più duri della pandemia: ristori, moratorie sui debiti, prestiti senza interesse o quasi, cassa integrazione Covid, e via dicendo.
Economia condizionata da shock globali
Anche il ritorno alla normalità post-pandemica, come sappiamo, ha visto un susseguirsi di shock globali che ancora oggi condizionano la sfera socio-economica, con il correlato di interventi pubblici a sostegno di imprese (e famiglie), basti pensare alle misure per dar sollievo al picco dei costi energetici che in alcuni paesi come la Germania hanno richiesto imponenti risorse fiscali.
Tutto questo, sia le patologie del sistema internazionale sia i tentativi di rimedio, hanno avuto un impatto su tempi e modalità della dinamica di crisi d’impresa e procedure fallimentari. Dopo il rimbalzo del 2021 e la flessione associata alla ripresa nel 2022, quest’anno liquidazioni e fallimenti sono in aumento, anche se è opportuno attendere i dati a consuntivo per trarre conclusioni.
Non vi è dubbio che la restrizione monetaria operata quasi ovunque nel mondo - e il drenaggio delle scorte di liquidità - contribuiscano a far emergere situazioni di fragilità già latenti o in taluni casi a creare le condizioni per le crisi d’impresa. Una tendenza che si è manifestata già negli Stati Uniti dove alcune imprese anche di antica tradizione hanno subìto l’impatto della pandemia, sono state mantenute in linea di galleggiamento dai sussidi pubblici, salvo poi arrendersi al credit crunch e anche alle nuove traiettorie tecnologiche (si veda il Sole 24Ore del 13 agosto).
La demografia aziendale nel suo complesso risente infatti anche di fluttuazioni e trasformazioni tecnologiche intense, come può testimoniare per esempio il calo di circa il 10% nella creazione di nuove imprese in Italia nel 2022 rispetto al 2021. Digitalizzazione e transizione energetica hanno un impatto sull’universo delle imprese, nuove o esistenti, ma queste evoluzioni per essere sostenute necessitano di meno incertezza nelle dinamiche tecnologiche e regolamentari, di strategie chiare a livello europeo e nazionale e di investimenti adeguati per compiere il passaggio almeno parziale da vecchi a nuovi segmenti produttivi e filiere.
Crescita funzionale e battaglia competitiva
Un aspetto non secondario riguarda le ridotte dimensioni delle aziende italiane rispetto alle concorrenti europee, per non parlare di quelle oltreoceano. La questione, come sappiamo, è antica, complessa e multiforme. Ostacoli amministrativi e fiscali vi concorrono e vanno rimossi, mentre sono da introdurre e rafforzare gli strumenti idonei, normativi e finanziari, per promuovere la crescita dimensionale. Che poi si accompagna alla crescita funzionale e organizzativa delle imprese, che diventano più articolate e dense di competenze.
Nel panorama produttivo globale che si va delineando ormai da tempo, senza questa crescita funzionale si rischia di perdere la battaglia competitiva, di esser tagliati fuori dalle
catene del valore internazionali, oppure di raccogliere meno in termini di valore aggiunto di quanto la nostra tradizione manifatturiera meriti.
Un altro tema cruciale per la trasformazione e il consolidamento dell’offerta produttiva italiana, del quale da tempo si discute ma senza che questo abbia negli anni passati condotto a interventi pubblici coerenti e adeguati, è quello della formazione.
I costi dell’energia e i tassi di interesse pesano con più evidenza sui destini aziendali, ma senza l’apporto di lavoratrici e lavoratori - e di manager - con le competenze richieste dai nuovi paradigmi tecnologici e geoeconomici, le imprese italiane affrontano la competizione globale con uno svantaggio considerevole.
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