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Criptovalute nel caos: dopo il crac Ftx c’è rischio di assalto agli sportelli

Gli investitori sono poco tutelati e stanno perdendo fiducia. Difficoltà crescenti investono un numero crescente di società del settore

di Vito Lops

Le valute digitali di Banca centrale

5' di lettura

New York. Correva il 1907 mentre falliva il tentativo di manipolare al rialzo il prezzo della United Copper Company. Le banche che avevano prestato fondi per finanziare quell’operazione speculativa subirono una corsa agli sportelli senza precedenti, che rapidamente contagiò altre banche e società fiduciarie in tutta la nazione. Il mondo ha bollinato quegli eventi come il “Panico del 1907”, una crisi finanziaria che causò un crollo del 50% a Wall Street. Da quelle ceneri nasceva nel 1913 l’Araba Fenice che oggi tutti chiamano Federal Reserve, la banca centrale negli Stati Uniti.

Quei turbolenti accadimenti ricordano molto da vicino quello che sta oggi vivendo l’industria delle criptovalute. Perché il contesto in cui proliferavano le banche americane all’inizio del Ventsimo secolo era molto simile a quello in cui operano oggi gli exchange di cripto-monete: un “far west” regolamentare. In un terreno del genere, la natura umana applicata al denaro tende a sfociare in avidità. L’avidità poi crea bolle. E queste, prima o poi, scoppiano lasciando col cerino in mano chi ha deciso, consapevole o meno, di prendere parte a quel gioco pericoloso.

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La crisi che sta vivendo nelle ultime settimane la cripto-industria – innescata dal fallimento dell’exchange Ftx, fondato dal controverso trentenne Sam Bankman-Fried (Sbf) – evoca il “Panico del 1907”. Ci sono tutti e tre gli ingredienti di fondo: la contrazione della liquidità, la perdita di fiducia dei clienti e l’assenza di un prestatore di ultima istanza.

Crisi di liquidità

Il crac di Ftx – che potrebbe aver lasciato una voragine di 32 miliardi di dollari, di cui circa 2 a carico di trader e investitori basati in Italia – preoccupa non solo per ciò che riguarda la triste storia di dipendenti, manager e “correntisti” traditi da un leader carismatico, quell’«Sbf» che frequentava i salotti buoni della politica statunitense e che sulla carta presentava buone credenziali: mamma e papà professori alla Stanford University; il ceo del fondo hedge di casa Alameda Research, Caroline Ellison, figlia di Glenn Ellison, capo del Dipartimento di Economia del Mit. Ma preoccupa ancor di più per l’effetto palla di neve che la corsa agli sportelli di Ftx ha innescato nel resto dell’industria.

A quanto pare Sbf avrebbe usato i depositi degli utenti per vizi privati (una lussuosa casa alle Bahamas dove ha sede l’azienda) e per provare a mettere una toppa ai buchi finanziari causati da Alameda Research. Questa notizia ha insinuato il dubbio a tanti altri cripto-investitori sulla buona fede e solidità delle rispettive piattaforme tanto che nell’ultima settimana c’è stata una corsa record agli sportelli. Senza eccezioni.

Nell’attesa che il curatore fallimentare statunitense John Ray III – lo stesso che ha curato la bancarotta di Enron, ad oggi il più grande crac della finanza vecchio stampo – completi il suo lavoro di ricostruzione degli asset, tra faldoni, chiavette digitali e blockchain, gli investitori si stanno concentrando adesso sul contagio. E nonostante siano passati pochi giorni dall’11 novembre, quando Ftx ha attivato negli Usa la procedura di bancarotta, si contano già le prime vittime. Come BlockFi, il grande conto di deposito di criptovalute a cui Sbf aveva proposto un salvataggio la primavera scorsa, quando il settore ha dovuto affrontare una prima ondata di questa crisi, culminata con i fallimenti di Luna (una blockchain valutata dal mercato al suo apice oltre 40 miliardi, svaniti nel giro di tre giornate) e di Celsius (che aveva conquistato la fama di più grande e affidabile conto di deposito di criptovalute, con 2 milioni di clienti in tutto il mondo, Italia inclusa).

Anche BlockFi era lì lì per cadere. Qualche mese fa è stato proprio Sam a “salvarla” aprendole una linea di credito da 250 milioni. Ora che Sam non può più – e molti si chiedono come mai non sia stato ancora arrestato – BlockFi è andata gambe all’aria. Prelievi sospesi. A forte rischio anche l’exchange canadese Voyager, anch’esso soccorso da Sam in primavera. Stando agli ultimi rumor a questo secondo giro il salvatore potrebbe essere Changpeng Zhao (CZ), ceo di Binance, il primo cripto-exchange al mondo, lo stesso che con un tweet del 6 novembre – in cui dichiarava di voler vendere la sua posizione da mezzo miliardo di dollari in Ftx in quanto i conti gli puzzavano – ha dato vita all’attuale fase di selezione darwiniana nel comparto.

A proposito di corsa agli sportelli sono ore difficili per i clienti di Genesis, la prima piattaforma di prestiti di criptovalute, che dal 16 novembre ha sospeso i prelievi. Il problema è che Genesis faceva da controparte a vari servizi secondari di prestiti in formato cripto, tra cui Gemini Earn offerto da Gemini, critpo-exchange fondato dai gemelli Winklevoss, conosciuti ai più per aver fatto causa a Marc Zuckerberg rivendicando come propria l’invenzione di Facebook. Genesis ha bisogno di un miliardo di dollari, si vocifera, per rimettersi in carreggiata. La sua casa madre, Digital Currency Group, rischia inoltre di avere anche un’altra gatta da pelare. Perché il mercato inizia a nutrire dubbi su un’altra società controllata, Grayscale. Il suo trust di Bitcoin (un fondo che dichiara di avere in pancia 635mila Bitcoin e che consente a molti investitori istituzionali di esporsi indirettamente alla criptovaluta) quota con uno sconto del 47%. Ciò vuol dire che la pressione di vendita da parte degli istituzionali sulle quote del fondo è fortissima.

Perdita di fiducia

In parole semplici, chi sta vendendo in questa fase quote del Grayscale Bitcoin Trust, pur di recuperare una parte dell’investimento, è come se accettasse di vendere bitcoin a 9.500 dollari anziché 16.600 (ultimo prezzo di mercato). Ergo: non si fida della società, che proprio ieri ha alimentato i sospetti dichiarando che il suo fondo è completamente collateralizzato da Bitcoin e che per la legge che li regola non può usare tali fondi per prestiti o altre operazioni. Greyscale tuttavia è restia a pubblicare la prova di queste riserve e i dati dei suoi cold wallet (portafogli “segregati” in blockchain) perché, a suo dire, sarebbe un rischio per la sicurezza. Per ritrovare un po’ di fiducia nel far west che è oggi l’industria delle criptovalute, gli investitori hanno bisogno di dichiarazioni meno ambigue. E soprattutto di avere la prova che le piattaforme dove depositano i propri liquidi per acquistare le criptovalute siano solide e non facciano altro con quei soldi.

Assenza di una banca centrale

Perché in questo caso non c’è una banca centrale, quel prestatore di ultima istanza che possa venire in soccorso. Non c’è neppure – come ad esempio c’è per i correntisti delle banche che operano in Italia – un fondo di garanzia sui depositi che copra fino a un certo ammontare le perdite. Può darsi però che questa storiaccia di Ftx porti a qualcosa di buono.

I big stanno lavorando a qualcosa di nuovo per provare a riconquistare la reputazione. Spinge in questa direzione il lavoro di Vitalik Buterin, fondatore di Ethereum, la seconda criptovaluta per capitalizzazione. Buterin, programmatore russo naturalizzato canadese, in collaborazione con i più noti exchange Coinbase, Binance e Kraken, ha pubblicato in settimana un documento in cui spiega un metodo con il quale gli exchange posso mostrare ai clienti una “Proof of solvency”: in pratica, la prova che non li stanno gabbando. Qualcosa quindi si sta muovendo. Staremo a vedere. Ma c’è davvero molto lavoro da fare, perché potremmo dire che quello delle criptovalute è un “far west del metaverso”. Viaggia su due livelli: un primo riguarda le piattaforme centralizzate che le vendono, il cui basso o inesistente livello di regolamentazione attuale espone i clienti a rischi estremi. Il secondo riguarda le criptovalute in quanto tali. La maggior parte dei progetti non ha alcun valore intrinseco, come dimostra il fatto che solo nel 2022 ne siano “morte” 12mila. Per quelle poche che secondo gli esperti potrebbero aver un ruolo importante nella società del futuro, fra cui Bitcoin ed Ethereum, resta il problema dell’elevata volatilità dei prezzi e dell’educazione finanziaria. Sempre troppo poca, soprattutto laddove si insidua il virus dell’avidità.

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