Crisi mondiale, il ruolo dell'Europa
Il nostro pianeta ha conosciuto, nel corso della sua storia, cinque grandi crisi che ne hanno bruscamente trasformato la configurazione fisica e in tempi più recenti anche drasticamente diminuito la biodiversità
di Antonio Padoa-Schioppa
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Il nostro pianeta ha conosciuto, nel corso della sua storia, cinque grandi crisi che ne hanno bruscamente trasformato la configurazione fisica e in tempi più recenti anche drasticamente diminuito la biodiversità. Oggi siano alle soglie di una sesta crisi, che per la prima volta è determinata dall'attività incontrollata di una sola specie. Il riscaldamento climatico improvviso causato in misura determinante dall'uomo con l'utilizzo delle energie fossili è ormai alle soglie dell'irreversibilità e provocherà l'innalzamento dei mari, la distruzione di migliaia di città costiere, il calo drammatico della biodiversità che già è in corso con effetti devastanti per l'intero pianeta.
I rimedi in grado di arrestare in tempo questa tragedia planetaria esistono. Occorre sostituire le fonti di energia fossile con fonti rinnovabili, eoliche, solari, verdi. Occorre ridurre il bisogno di energia con una serie di adattamenti perfettamente compatibili con la vita moderna; questo è stato dimostrato. Ma bisogna farlo da subito, intensificando immediatamente il ritmo di un'evoluzione positiva che è ormai iniziata ma che procede in tempi troppo lunghi. Per ora siamo al di sotto di quanto necessario e, lo ripetiamo, tra meno di un decennio l'obbiettivo diverrà irraggiungibile. L'ultimo documento presentato dall'Onu, frutto di un'attenta ricognizione scientifica effettuata da circa duecento esperti, dichiara esplicitamente che la soglia dell'irreversibilità è molto vicina.
Come evitare questo esito tragico, ormai prossimo, adottando le misure efficaci a questo fine? La risposta è semplice, ci vuole uno sforzo congiunto da parte di tutti gli Stati del pianeta, a cominciare naturalmente da quelli che provocano la percentuale maggiore del consumo delle energie fossili, Cina e Stati Uniti. Esistono un'agenda 2030 e un'agenda 2050, approvate da tutti gli Stati, che segnano le tappe di questo percorso, per il quale entro quest'ultima data l'intero pianeta dovrà essere climaticamente neutro. Ma tali agende non sono vincolanti e la loro attuazione ristagna. La guerra in corso, della quale non si vede ancora la fine e che può avere esiti globali pericolosissimi, le ha ulteriormente rallentate. Azioni incentivanti ma anche coattive, che in linea di principio le Nazioni unite potrebbero deliberare, sono certamente necessarie ma al momento attuale sarebbero bloccate dal veto di alcuni Stati, dalla Cina, dalla Russia, probabilmente anche dagli Stati Uniti.
La guerre per la salvezza è dunque già perduta? Può essere che sia così. L'allarme che da ogni parte si leva per scongiurare la crisi ha visto quali protagonisti, per la prima volta nella storia, la generazione dei giovani che ne subirebbero già in vita le conseguenze. La responsabilità delle classi politiche oggi al potere, anzitutto quella dei governi delle tre potenze maggiori, è immensa. Il futuro della specie umana, e non solo di essa ma di quelle dell'intero pianeta, è per la prima volta nella storia nelle mani di pochissimi uomini, forse numerabili sulle dita di una sola mano.
Vi è un'area della Terra nella quale si potrebbe avviare da subito una reazione efficace. Si tratta dell'Europa. Essa rappresenta oggi appena il 7% della popolazione mondiale, ma una sua politica di accelerazione della conversione energetica coniugata con un grande piano di investimento nelle regioni meno sviluppate del pianeta, a cominciare dall'Africa, potrebbe indurre anche le altre potenze ad agire. I paesi poveri esitano comprensibilmente a rinunciare al carbone e al petrolio perché necessitano dello sviluppo e perché imputano a ragione ai Paesi più ricchi la maggiore responsabilità della deriva attuale. E le diseguaglianze esterne vanno combattute non solo perché ingiuste ma perché anche fonte di mancata crescita, al pari di quelle presenti nelle stesse regioni ricche del pianeta. Gli strumenti fiscali ed economici esistono, sono stati bene esposti e specificati da numerosi studi attendibili. Ma occorre un intervento a livello globale, per il quale l'Unione europea potrebbe dare l'avvio e svolgere un ruolo di stimolo forse decisivo.
Ad una condizione però: che l'Unione europea agisca come tale, con le risorse di un bilancio comune accresciuto, con un piano per l'Africa, attraverso l'Unione africana, dell'ordine di alcune centinaia di miliardi in un decennio, probabilmente anche meno, reperibili con misure di fiscalità europea sul carbonio e sulle transazioni finanziarie, con un modesto indebitamento comune gestito sul bilancio dell'Unione. Va aggiunto che ciò non solo costituirebbe un valido argine alle immigrazioni di massa, ma procurerebbe alla stessa Europa, nel tempo, milioni di nuovi posti di lavoro. Lo stesso vale per la difesa e per la sicurezza comune, necessarie all'Europa come è ormai a tutti chiaro.
Nulla di più, nulla di meno di questo. Dato che oggi un accordo multipolare globale appare irraggiungibile, un effetto domino potrebbe partire dall'Europa. L'Unione europea potrebbe essere in grado di indurre a politiche coerenti e tempestive anche Cina, India, Stati Uniti, se non altro per non lasciare alla sola Europa il grande merito politico di un sostegno possente alle regioni meno sviluppate del pianeta. Questo è possibile, purché tuttavia i governi di Francia e Germania, inclusa sperabilmente anche l'Italia, agiscano come motori dell'Unione e non in un'ottica nazionale, che va contro i nostri stessi interessi.
Un nuovo ordine multipolare è indispensabile, anche tra regimi diversi, persino in presenza di una guerra, certamente per raggiungere la pace ma anche e prima di tutto per la salvezza del pianeta. L'Europa potrà farsene promotrice se i suoi leader, a cominciare da Macron e Scholz, agendo in unità di intenti, ascolteranno la voce dei loro e dei nostri popoli, a partire da quella dei giovani.
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