CsC: ripresa del Pil si rafforza, +1,5% nel 2018
di Redazione Online
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La ripresa si rafforza e il Pil italiano crescerà dell’1,5% nel 2018, anziché dell’1,3% come precedentemente atteso. Si tratta della nuova stima del Centro studi di Confindustria che conferma la stessa crescita per l’anno in corso (+1,5%). In rallentamento il 2019 a +1,2 per cento. «L’espansione globale prosegue - ha detto il capo economista Luca Paolazzi - alla velocità più alta dal 2010 e non vediamo rischi se non una guerra con la Corea del Nord o in Medio Oriente. Una ripresa trainata da investimenti e commercio. L’Italia è pienamente agganciata a questa ripresa». Il nuovo scenario è stato delineato questa mattina in occasione della presentazione a Roma dell'indagine dal titolo: “L'espansione globale prosegue. Africa decisiva: opportunità e criticità”.
Ripresa zavorrata da credito che non aumenta
Il «recupero è zavorrato dal credito che non aumenta», ha spiegato Paolazzi. Il rapporto avverte che «il recupero dell’economia italiana continua a non ricevere il supporto del sistema bancario: i prestiti, anche tenuto conto della cessione delle sofferenze, rimangono fermi, se non in retromarcia». Mentre «i lunghi tempi di pagamento, sia del pubblico sia tra privati, determinano un fabbisogno di capitale circolante elevato in modo anomalo rispetto agli standard internazionali».
Il lavoro non è la Cenerentola del recupero
Presentando le nuove previsioni macroeconomiche Paolazzi ha aggiunto che «il lavoro non è la cenerentola del recupero, anzi: è tornato sopra i livelli pre-crisi con una crescita del 4% delle ula da 2014 all’autunno 2017 a fronte del +3,8% del Pil, il che significa 900 mila posti creati dal 2014». Il tasso di disoccupazione scende dall’11,3% al 10,9% nel 2018 e al 10,5% nel 2019.
Allarmante la bassa occupazione giovanile che diventa emigrazione
Resta tuttavia «allarmante la questione della bassa occupazione giovanile che si trasforma in emigrazione», sottolinea il report segnalando che nel 2016 l’uscita di giovani dal Paese è proseguita: 61mila tra i 18 e i 39 anni, in aumento del 19,1% su anno, mentre il totale è stato di 115 mila con +12%. I laureati andati via sono stati 25 mila.
Conti pubblici in miglioramento, sostenere Pil per tagliare debito
Il deficit pubblico scende quest’anno al 2,1% del Pil e all’1,7% nel 2018. Risale all’1,9% nel 2019. Le previsioni del centro studi di Confindustria escludono le clausole di salvaguardia per il 2019. Scende il rapporto debito su Pil al 131,6% quest’anno, al 130,5% il prossimo e a 129,6% nel 2019. «La composizione della Manovra sostiene la crescita. Sarà compito della prossima legislatura accelerare sulle strade delle riforme per accrescere il potenziale di crescita e il rientro del debito pubblico», si legge nel rapporto.
Voto,Italia al bivio. Rischio arretrare
«Le prossime elezioni politiche si presentano come un test molto rilevante e - avverte il Centro studi di Confindustria - disegnano per il Paese una biforcazione tra il proseguire il lungo cammino delle riforme o non far nulla (che, in termini relativi, vuol dire arretrare), se non proprio tornare indietro». «Instabililità politica e misure demagogiche per motivi di consenso» nel medio-lungo termine abbassano il «potenziale di crescita»: in Italia spiegano «le origini antiche del male di lenta crescita» e sono un «rischio» per la prossima legislatura.
Il focus sull’Africa: crescita oltre le risorse naturali
Secondo l’indagine di CsC, l’Africa racchiude oggi sfide, opportunità e criticità senza precedenti nella storia. Per se stessa e per l’intero pianeta. Oggi «si trova davanti opportunità di sviluppo senza precedenti nella storia postcoloniale». Non solo. «Nei primi tre lustri del nuovo millennio l’economia del continente africano è cresciuta in modo sostenuto (vicino al 5% medio annuo), lasciandosi alle spalle un quarto di secolo di stagnazione e arretramento nel reddito pro-capite», mette in evidenza il rapporto. La crescita «non ha interessato solo le economie ricche di risorse naturali (come Nigeria, Mozambico e Botswana) e, soprattutto negli ultimi anni, è stata più sostenuta nei paesi che ne sono sprovvisti (quali Etiopia, Ruanda e Tanzania)». A differenza da quello che è accaduto negli emergenti asiatici, «non è stata l’industrializzazione a trainare lo sviluppo, ma la transizione dall’agricoltura al terziario». Il tradizionale motore di sviluppo dei paesi africani, l’export di risorse naturali e commodity primarie, è stato almeno in parte sostituito dalla domanda di consumi.
Pil africano: +3,4% nel 2017 e +4,3% nel 2018
Il Pil africano, dopo il rallentamento del 2016 (+2,2%) legato ai problemi di tre delle più grandi economie del continente (Nigeria, Angola e Sud Africa), sta tornando a ritmi di crescita più sostenuti (+3,4% nel 2017 e +4,3% nel 2018). La ripresa è favorita da un modesto rialzo dei prezzi delle commodity e, nei paesi meno ricchi di risorse naturali, dagli investimenti in infrastrutture. I rischi di breve periodo sono legati al deterioramento più rapido del previsto delle condizioni finanziarie internazionali e alla instabilità macroeconomica dei paesi con un alto costo del servizio del debito pubblico (Angola, Gabon e Nigeria).
Nel destino dell’Africa ruolo cruciale della demografia
C’è una stretta connessione tra l’evoluzione del Continente dal punto di vista demografico e le prospettive di crescita dell’Africa. «Nel destino africano giocherà un ruolo cruciale la demografia - mette in evidenza il Centro studi di Confindustria -. Con 1 miliardo e 256 milioni di abitanti (il 17% della popolazione mondiale) l’Africa è già un gigante. Lo sarà sempre di più nei prossimi decenni: nel 2050 la popolazione sarà esplosa a 2 miliardi e 528 milioni e, demograficamente, un quarto del Pianeta sarà africano». Se questo è lo scenario, «se in questo lasso di tempo, assieme al dividendo del forte aumento della quota di popolazione in età da lavoro, il PIL pro-capite raggiungesse quello odierno della Cina, l’economia africana avrebbe una stazza cinque volte superiore a quella di oggi. Nello stesso periodo, il PIL dei paesi avanzati crescerà poco più di due volte».
L’incognita: l’instabilità politica
Il report mette in evidenza che «i paesi maggiormente in ritardo nell’indice di sviluppo umano sono gli stessi che vivono situazioni di maggiore instabilità politica e che, nei casi più gravi, sono interessati da conflitti civili o militari». Il problema è che «nonostante la percentuale di stati interessati da guerre o conflitti sia in discesa, l’Africa è ancora il continente dove si trovano 11 dei 20 paesi al mondo con la più alta probabilità di scoppio di una guerra».
Le conseguenze
L’instabilità politica è anche all’origine della questione dei rifugiati. «Nel 2015, su 63 milioni di persone che hanno dovuto lasciare il loro luogo di residenza per ragioni legate alla violenza e alle persecuzioni politiche, il 37% proveniva dal Medio Oriente e dal Nordafrica e il 27% dall'Africa subsahariana. I paesi del continente con il più alto numero di rifugiati - spiega l’indagine - sono oggi il Sudan (3,5 milioni), la Nigeria (2,2 milioni), il Sud Sudan (2,1 milioni) e la Repubblica Democratica del Congo (1,9 milioni)
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