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Csi, il Consorzio piemontese convince anche Roma e Milano

di Filomena Greco

Data center. Nella struttura CSI sono custoditi i dati sanitari del Piemonte

3' di lettura

Nasce come consorzio piemontese al cento per cento. Ma dopo la fase acuta della pandemia è riuscito ad attirare le amministrazioni di Milano e Roma. Parliamo del Csi Piemonte, con Regione e le due Università tra i soci fondatori – al 20% – e il Comune di Torino tra i sostenitori. «Credo sia merito di quanto costruito in questi anni, abbiamo dimostrato di avere un business model diverso e più efficiente rispetto alle altre in-house, poi ha pesato anche la dotazione tecnologica, rappresentata dai due Data center, l’infrastruttura di rete e il Cloud tra i primi ad essere certificato» spiega Pietro Pacini, direttore generale del Consorzio per il Sistema Informativo.

Nel Data center di corso Unione Sovietica, a Torino, sono custoditi i dati sanitari del Piemonte e delle amministrazioni che utilizzano i servizi del Consorzio, una seconda struttura di backup si trova a Vercelli. Da fine 2019 poi è operativa la Service Control Room, operativa ventiquattr’ore su ventiquattro, che garantisce standard di sicurezza alti. «Subiamo tra gli 80mila e i centomila tentativi di attacchi al giorno, arrivano da tutte le parti del mondo con livelli di complessità diversi, abbiamo molto investito sulle competenze in questi anni e sulla formazione interna» spiega Pacini. A completare il quadro c’è il Cloud “pubblico” open source che rappresenta un caso abbastanza unico in Italia. E sarà proprio il Piemonte la regione pilota per lo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico a livello nazionale. «La sanità ha accelerato sulla digitalizzazione, anche grazie alla centralizzazione delle infrastrutture, e la pandemia ha dimostrato l’importanza di una gestione efficiente dei dati. La nostra piattaforma Covid è diventata un modello perché ha permesso a tutti i centri di parlarsi su un’unica piattaforma, replicata per il modello vaccinazioni, con tre milioni di accessi al giorno a fine dicembre 2020».

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CSI è un consorzio e non una società per azioni, con una compagine societaria diffusa e con modalità di ingresso relativamente semplici per le amministrazioni pubbliche. Una volta all’interno della compagine consortile gli enti possono usufruire del regime di in house utilizzando competenze e infrastrutture della società. «I nuovi soci – spiega Pacini – entrano con una quota dello 0,85%, con un canone di ingresso fino a 4mila euro». I servizi sviluppati per la Regione Piemonte, a cominciare dalla sanità, rappresentano circa il 70% di fatturato, ma il modello resta distribuito. «Realizziamo servizi per molti soggetti, tra cui aziende sanitarie, società partecipate pubbliche, comuni e città metropolitane, enti come l’Istituto Zooprofilattico e una realtà nazionale come Indire, partecipato dal ministero dell’Istruzione» spiega il direttore generale. Una gamma di servizi ad ampio raggio dunque, dalla gestione informatica degli atti amministrativi fino al lavoro sulle banche dati sanitarie. CSI opera come stazione appaltante e offre la possibilità di gestire il servizio dalla richiesta alla eventuale gara fino all’implementazione del servizio.

Dai fondi per il Pnrr, analizza Pacini, arriverà una spinta ulteriore verso la crescita, «proprio per l’esigenza di investire queste risorse velocemente e di affidare i servizi ad una struttura già in campo, con dotazioni tecnologiche importanti, che può fare da catalizzatore». Il CSI è una realtà in crescita, passata in tre anni da 128 a 144 milioni di fatturato con un migliaio di addetti e una fase di ricambio generazionale in atto. Il Piano triennale prevede 1.100 persone a regime, con un programma di assunzioni di circa 30 nuovi specialisti all’anno.

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