Sanità

Cure a casa: così le Usca anche dopo il Covid faranno parte del Ssn

Dopo la prova sul campo e una diffusione dopo quasi due anni ancora a macchia di leopardo, l’obiettivo è crearne almeno una ogni 100mila abitanti e quindi 600 in tutta Italia

di Marzio Bartoloni

Le Unità di continuità assistenziale. I team mobili sono composti da un medico e da un infermiere

3' di lettura

Sono nate in tutta fretta nel pieno della pandemia durante la prima drammatica ondata del Covid con un decreto del marzo 2020 (14/2020) e ora si apprestano a entrare in pianta stabile nel Servizio sanitario nazionale grazie alla legge di bilancio appena varata dal Governo che stanzia 67 milioni nel 2022 e poi 101 milioni l’anno fino al 2026. Sono le «Usca», le unità speciali di continuità assitenziale, o «Uca» (in futuro dovrebbero perdere la “s” di “speciali”) inventate per bussare a casa dei pazienti malati di Covid per effettuare tamponi e fare le prime diagnosi e cure. Ora dopo la prova sul campo e una diffusione dopo quasi due anni ancora a macchia di leopardo - non tutte le Regioni le hanno attivate nel numero previsto - l’obiettivo è crearne almeno una ogni 100mila abitanti e quindi 600 in tutta Italia. Sono composte da micro-team formati almeno da un medico e da un infermiere con il compito non solo di continuare a monitorare i pazienti Covid in questa quarta ondata, ma in un prossimo futuro seguire a casa i pazienti più complessi dimessi dagli ospedali o fare programmi di prevenzione (come le vaccinazioni) nelle scuole o nelle Rsa.

Se la manovra ora in arrivo in Parlamento stanzia le risorse è la bozza di documento messa a punto da Agenas e ministero della Salute sui «Modelli e standard per lo sviluppo dell'Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale» a disegnare l’idenitikit dell’Usca per i prossimi anni. Che viene definita come una «équipe mobile distrettuale per la gestione di situazioni condizioni clinico-assistenziali di particolare complessità e di comprovata difficoltà operativa di presa in carico sia a carico di individui che a carico di comunità».

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Secondo questo documento che nelle prossime settimane dovrebbe incassare il via libera delle Regioni - è uno dei provvedimenti cruciali previsti per spendere le risorse del Pnrr sul territorio - le Usca o Uca saranno composte da almeno 1 medico e 1 infermiere ogni 100.000 abitanti e opereranno sul territorio anche attraverso l'utilizzo di strumenti di telemedicina come la televisita o la teleassistenza. L’Usca potrà anche usufruire del supporto a distanza (teleconsulto) di specialisti del territorio ed ospedalieri e potrà «essere eventualmente integrata con altre figure professionali, sanitarie e sociosanitarie».

L’Usca non sostituisce ma supporta per un tempo definito i professionisti responsabili della presa in carico del paziente e della comunità. E come detto «può essere attivata in presenza di condizioni clinicoassistenziali di particolare complessità e di comprovata difficoltà operativa di presa in carico».

Il documento sugli standard prevede alcune specifiche condizioni in cui le Usca possono intervenire: è il caso a esempio delle dimissioni difficili di un paziente dall’ospedale al supporto a casa «in particolari situazioni di instabilità clinica o emergenti necessità diagnostiche/terapeutiche» e poi per la «presa in carico e follow-up dei pazienti domiciliari durante focolai epidemici» (in pratica quanto fatto con il Covid tra tamponi e terapie a casa), ma anche programmi di prevenzione territoriale quali ad esempio, ondate di calore, vaccinazioni domiciliari e presso le Rsa o le Case di riposo per pazienti più “fragili” oltre a interventi mirati nelle scuole, nelle comunità difficili da raggiungere.

L’Usca - secondo la bozza di documento sugli standard dell’assistenza territoriale - deve essere dotata di un sistema integrato comprendente una moderna infrastruttura di telemedicina collegata alle nuovissime Cot - le centrali operative territoriali che saranno una sorta di cabina di regìa - e «accessibile via internet con tecnologia cloud computing al fine di garantire anche in teleconsulto l'interoperabilità della rete di consulenti collegati in telemedicina». L’Unità speciale di continuità assistenziale dovrà essere poi dotata inoltre di strumentazione avanzata di primo livello e di una gamma completa di dispositivi medici portatili (anche diagnostici) in grado di acquisire informazioni e parametri necessari al monitoraggio delle condizione cliniche del paziente.

La sede operativa dell’Usca sarà nelle attesissime Case di Comunità, (ne sorgeranno oltre 1200, una ogni 40-50mila abitanti) che diventeranno le future protagoniste delle cure sul territorio in modo da avvicinarle alla casa degli italiani. A fronte della carenza di medici di famiglia e delle difficoltà di coprire le zone carenti, i giovani medici del corso di formazione in medicina generale potranno assumere degli «incarichi Usca e sono inseriti nelle Case della Comunità per attività formativa supervisionata» dai medici di famiglia presenti sempre nella casa della comunità.

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