I segnali dei bond

Curva tassi in testacoda: banche centrali credibili o recessione dura in arrivo?

L’aggressività della Fed accentua il fenomeno dell’inversione dei rendimenti portandolo ai livelli del 2000. Ecco cosa si nasconde dietro l’evidente paradosso

di Maximilian Cellino

La Borsa, gli indici del 22 settembre 2022

3' di lettura

Nella seconda giornata chiave delle Banche centrali le Borse si indeboliscono ancora, il mercati obbligazionari accentuano le dinamiche delle ultime settimane e il dollaro prova a fare il rullo compressore, finendo per provocare anche la reazione delle autorità monetarie delle valute antagoniste. Il mercato continua in sostanza a metabolizzare l’impostazione non distante dalle attese ma forse più aggressiva data dalla Federal Reserve mercoledì 21 settembre, quando ha alzato di nuovo i tassi di 75 punti base.

Il dollaro e i «puntini» Fed

Il fatto che i banchieri centrali Usa abbiano fissato nei cosiddetti dot plot un punto di arrivo mediano più alto per il costo del denaro (4,75%) giustifica la debolezza di Wall Street in avvio e quella dell’Europa, dove a Milano FTSE MIB ha ceduto l’1,1%, Francoforte e Parigi l’1,8 per cento. Sul fronte valutario il dollaro non ha mancato di far sentire il suo peso sempre per questo motivo, schiacciando lo yen ai livelli del 1998, la sterlina ai minimi da 37 anni e l’euro a testare la soglia di quota 0,98, anche qui minimi dal 2002.

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IL CONFRONTO
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La reazione delle Banche centrali

Tutto questo prima appunto della reazione della Banca del Giappone, che è intervenuta a sostegno dello yen per la prima volta proprio dalla fine degli anni 90 dando sollievo momentaneo alla valuta. Si è visto anche un movimento della sterlina dopo che la Banca d’Inghilterra ha aumentato i tassi di 50 punti base, ma il rimbalzo è stato limitato perché alcuni attendevano una mossa da 75 punti come quella adottata dalla Banca nazionale svizzera, che pure ha in parte deluso i mercati lasciando il franco ai minimi del 2015 sull’euro.

Il bollettino Bce

Nessuna indicazione specifica è invece arrivata dall’Eurozona: «Un intervento diretto a sostegno dell’euro non è fuori questione - ammette Jack Allen-Reynolds, Senior Europe Economist di Capital Economics - ma pensiamo sia necessario un deprezzamento molto più grande della moneta unica per costringere la Bce ad agire.

Oggi 22 settembre è stato anche il turno del Bollettino economico, nel quale l’Eurotower ha ribadito che l’inflazione si manterrà «su un livello superiore all’obiettivo per un prolungato periodo di tempo», che vi sono «rischi al ribasso» sulla crescita soprattutto nel breve periodo (si parla di «stagnazione» nella seconda parte dell’anno e nel primo trimestre 2023). Ci si attende quindi di «aumentare ulteriormente i tassi di interesse nelle prossime riunioni per frenare la domanda e mettere al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative di inflazione».

Curve pericolose

Non c’è dunque da stupirsi se i fenomeni più rilevanti si continuano a vedere sui bond: non tanto perché i rendimenti dei titoli di Stato crescono ancora (ieri il BTp decennale ha raggiunto il 4,12%, anche se lo spread sul Bund si è in parte ridotto a 223 punti base), quanto perché lo fanno più rapidamente sulle scadenze ravvicinate accentuando quel paradosso che passa sotto il nome di «inversione della curva dei tassi».

Il continuo inasprimento e la retorica aggressiva delle banche centrali di tutto il mondo tengono sotto pressione il segmento a breve della curva

Unicredit Research

Negli Stati Uniti ieri il rendimento dei Treasury a due anni si è spinto fino al 4,13%, massimi dal 2007 e soprattutto quasi 58 punti base sopra il livello del decennale (3,66%, a sua volta top dal 2011). Il fatto che per ritrovare uno scarto simile occorra tornare indietro addirittura al 2000 è significativo: «Il continuo inasprimento e la retorica aggressiva delle banche centrali di tutto il mondo tengono sotto pressione il segmento a breve della curva», spiegano gli analisti di UniCredit Research, sottolineando come invece la parte decennale sia «più ancorata e rifletta l’elevata credibilità delle Banche centrali nel frenare le aspettative di inflazione e le preoccupazioni degli investitori per una crescita più bassa nel futuro».

In Europa l’appiattimento dei tassi è a uno stadio più limitato: il differenziale della curva tedesca è ancora a favore del decennale, ma lo scarto con il due anni è comunque appena a 13 punti base contro i quasi 80 di inizio luglio. Finora la direzione è quindi del tutto simile a quella seguita Oltreoceano, se pur con un evidente ritardo temporale. Occorrerà quindi attendere per capire se vi sarà un riallineamento, e soprattutto a quale costo.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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