Da Bruxelles 630 milioni alle Zes per rilanciare il Mezzogiorno
Le risorse serviranno a trasformare i porti in piattaforme logistiche per le navi che dal canale di Suez transitano per il Mediterraneo e raggiungono il nord Europa
di Fiorella Lavorgna
3' di lettura
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 21 gen - Le Zone economiche esclusive sono uno dei principali interventi per il rilancio dell’economia meridionale. Il Pnrr destina alle Zes una linea di finanziamento di 630 milioni di euro, alla quale devono aggiungersi 1,2 miliardi di euro pensati per le opere nei porti del Meridione. Istituite nel 2018 in Italia del ministro per il Sud del Governo Gentiloni, Claudio De Vincenti, ma poi abbandonate, le Zes sono aree industriali regolate secondo politiche e norme fiscali diverse rispetto al Paese che le ospita, al fine di attrarre investimenti esteri. Queste aree ruotano attorno ai porti, ma si estendono all’entroterra comprendendo insediamenti produttivi che vivono all’interno dell’economia portuale. Grazie a questi fondi, agli sgravi fiscali e alla semplificazione delle procedure istituite con il Dl Governance e Semplificazioni del 2021, l’obiettivo è quello di fare in modo che, con il rilancio delle Zes, il Mezzogiorno diventi una piattaforma logistica delle navi che dal Canale di Suez transitano per il Mediterraneo e raggiungono il nord Europa. La strategia - fortemente sostenuta del ministro per il Sud, Mara Carfagna, che ha rilanciato il progetto - si colloca nella prospettiva di beneficiare dell’aumento del volume di traffico di merci provenienti dal continente africano, generato anche dal raddoppio del canale di Suez. Attualmente infatti, le navi che dal Canale di Suez transitano dall’Italia si fermano nei porti solo per il commercio merci. Con i soldi del Pnrr si vuole fare in modo che le aree intorno al porto diventino degli scali logistici, che permettano anche la trasformazione e lavorazione delle materie prime. Non solo, queste merci una volta lavorate devono essere anche in grado di raggiungere il resto d’Europa via terra, grazie al completamento dei collegamenti ferroviari. Per fare questo, il governo ha messo in moto una strategia multi-livello. Per prima cosa investire sugli impianti industriali presenti nelle Zes per consentire la lavorazione dei materiali. In secondo luogo l’aumentato il credito di imposta unito alla semplificazione delle procedure di accesso alle Zes per attrarre investimenti dall’estero. Fondamentale sarà poi la collaborazione tra le otto Zes, in modo che queste agiscano in maniera coordinata e non concorrenziale.
Varata la riforma dei Commissari che d'ora in poi agiranno in piena autonomia
Questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto grazie al coordinamento dei Commissari, che si sono riuniti per la prima volta questa settimana con la ministra Carfagna. Una novità introdotta dalla riforma – necessaria per accedere ai fondi del Pnrr - prevede che il Commissario non sia più sottoposto all’autorità portuale, ma che agisca in piena autonomia nel concedere le autorizzazioni alle aziende che intendono investire nelle Zes. Questa semplificazione – che secondo il governo avrà un effetto maggiore degli incentivi fiscali – farà in modo che le aziende avranno a disposizione un unico sportello telematico dove inoltrare la propria richiesta, senza dover ottenere numerose autorizzazioni tra autorità portuali ed enti locali. Una delle prime importanti Zes è stata istituita da Deng Xiao Ping a Shenzhen, quando allora era soltanto un villaggio di pescatori. La funzione delle Zes cinesi era duplice: da una parte essere porti aperti verso l’esterno, dall’altra essere poli di attrazione per gli investimenti esteri. Da allora questi hub industriali adiacenti ai porti hanno portato ricchezza e crescita in aree del mondo periferiche o semi-periferiche, soprattutto in Asia. Tra il 1975 e il 2006, il numero di Zes è cresciuto da 79 a 3500, dando lavoro a più di 60 milioni di persone, due terzi delle quali in Cina. Attualmente in Europa esistono circa novanta zone che godono di esenzioni e regolamentazioni fiscali, a farne un motore per l’industrializzazione è stata soprattutto la Polonia che le ha utilizzate come strategia per la crescita e per colmare il gap con l’Europa occidentale, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
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