Da Courreges a Dries Van Noten, la moda resta fieramente spettacolo
Lusso monacale per The Row delle sorelle Olsen, rigori e bagliori da Dries Van Noten, l’omaggio ricco di energia a Paco Rabanne
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
Che il fenomeno del fashion-tainment, la definitiva convergenza di moda e intrattenimento, sia giunto al capolinea? No davvero. Anzi, a giudicare dalla folle oceaniche in attesa di chissà chi, sta proprio esplodendo. Eppure, anche a Parigi, sono gli show piccoli, senza grandi effetti speciali, a colpire di più.
Certo, da Courreges c'è un fumo denso, bianco e parecchio teatrale che sale su dalle griglie sul pavimento, ma la messa in scena non va oltre. Tutto ha un che di tranche de vie, di scena vista per strada. La prima modella, infatti, esce in passerella con gli occhi fissi sullo schermo retroilluminato di uno smartphone, in un caso flagrante di arte che imita la vita. Nicolas Di Felice, il giovane e capace direttore creativo che ha ridato smalto al marchio più giovanilista e ye-ye di Francia, applica lo stesso metodo ai vestiti che progetta: mantiene forte il senso del reale, mentre aumenta giusto un po' il volume della trasmissione. A questo giro gioca con la forma delle maniche, tonde e abbondanti, e con fenditure che consentono di indossare tutto, dal cappotto alla felpa, come una cappa. Il disegno della silhouette è netto, teso, verticale, aperto da ritagli circolari occupati da placche di metallo specchiato, e drappeggi che creano tagli grafici snudando la pelle. Si apprezza la concentrazione, la sintesi senza fronzoli che è per sempre sinonimo di modernità, e l'idea di una moda pensata per i giovani, ma non giovanilista. L'età, dopo tutto, è una condizione della mente.
Con l'intimismo per pochi e la semplicità piena di significato hanno a che fare da sempre le gemelle Olsen. Il loro The Row cresce e fiorisce in una magnifica nicchia di deprivazione come picco del privilegio, di lusso sensualmente monacale. Ogni dettaglio, qui, aggiunge elementi di supporto alla storia principale: lo show si svolge in una magione patrizia tutta stucchi e specchi, privata però di ogni suppellettile e arredo. Gli abiti sono un distillato di eleganza talare per donne che, avendo tutto, possono fare a meno quasi di tutto: cappe da viandante, cappotti perfetti, tubini intagliati, tuniche francescane. I fremiti non mancano, ma sono sottili: una piega inattesa, lunghi guanti di pelle in una nota off, un beanie con l'abito da sera, e poi Peter Murphy dei Bauhaus che ulula “Bela Lugosi's Dead” nella colonna sonora, stonatura sapiente in cotanta calma patrizia.
Lo show di Dries Van Noten è grandioso nell'allestimento - una passerella che attraversa come un torpedone gli spalti di un auditorium, raddoppiata da uno specchio gigante - ma il messaggio è intimo, e i vestiti li si vede da vicino, apprezzando il contrasto tra il rigore delle flanelle secche e maschili e i bagliori serici di mussole delicate e femminili. L'intera prova è un intreccio di contrappunti, sempre sull'orlo del collasso e dello sfaldamento: orli vivi, laccetti, e una verticalità invero molto belga, ricordando gli anni Novanta della prima ondata fiamminga, con Martin Margiela a trainarla.
Da Paco Rabanne, il set è una distesa di pelliccia - sintetica - selvaggia come un boudoir anni Sessanta. Il sex appeal dell'organico fa da cornice al trionfo dell'inorganico: metalli, plastiche, cristalli, i materiali preferiti di Paco, di recente scomparso, acutamente riattualizzati da Julien Dossena, il direttore creativo dei recenti successi. La sfilata si conclude con una piccola parata di creazioni d'archivio - è la prima volta che ciò succede - ma si apre con un Rabanne nuovo: cappotti ad astuccio, a pelo lungo, indossati con le scarpe da running. Da lì parte un detour esotico e immaginifico che tocca diversi territori, lisergici e opulenti, per giungere al picco con una serie di creazioni sonanti e sbrilluccicanti che sono pura magia.
La favola sulla creazione ed evoluzione di Acne Studios origina in un Eden surreale e termina in una visione discinta genere primi anni Duemila, tutta avvolgimenti, scosciature e tacchi degni di Britney Spears agli MTV Awards del 2001. Da Undercover, in fine, la verve punk di un tempo evapora momentaneamente in un mescolone di tailoring ska e gonnelloni da signora che non sembra avere molto senso.
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