Da Dior a Watanabe, look maschili decostruiti e femminilizzati
L'azione principale consiste sempre nell'accogliere ció che è delicato, lieve, in definitiva - e per convenzione da infrangere - femminino
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
A Parigi l'uomo, o meglio quel che lo rappresenta in senso vestimentario, si decostruisce con foga se possibile doppia rispetto a Milano, ma anche con una certa poesia, con una abrasiva delicatezza. L'azione principale consiste sempre nell'accogliere ció che è delicato, lieve, in definitiva - e per convenzione da infrangere - femminino.
Kim Jones da Dior - maison il cui immaginario è per sempre legato al fondatore e ai successori, alle loro attività nel mondo della couture, quindi rivolta alle donne - non ha mai fatto mistero di ispirarsi all'archivio, alla riserva dei codici muliebri, ivi inclusi ricami ed effervescenze. Questa stagione omaggia monsieur Dior così come Marc Bohan e Gianfranco Ferrè, immaginando un plotone di maschi delicati e pittorici che sbucano dal pavimento di una scatola metallica come una fioritura al neon. La metafora è trita, ma l'effetto scenico, ossia una meccanica di pompe idrauliche coordinate al millimetro, è sorprendente: gallattico, impeccabile, insieme liquido e macchinoso. La collezione è fluida, aerea, decorativa: giacche a sacchetto, pantaloni larghi che s'arrestano a mezz'asta, copricapi piumati. I look sono costruiti come collage di riferimenti, che di per sè non è una novità, ma l'effetto è più vivo e vibrante del solito.
Junya Watanabe, il designer giapponese che in tempi non sospetti, oltre vent'anni fa, ha per primo esplorato le possibilità delle collaborazioni, collabora con se stesso: uno di quei paradossi di cui solo i creatori nipponici sono capaci. Quel che intende è che, per la prima volta, affronta nella collezione maschile temi e forme - ritagli di capi, moltiplicazioni, costruzioni spiraliformi - di solito riservate alla linea femminile - le due entità finora non si sono mai toccate. Femminilizzazione, dunque, anche qui: angolosa e punk, risolta in una silhouette piena di torsioni, in una proposta in larga parte nera e piena di nuance.
Rei Kawakubo, da Comme des Garçons, opta per un doppio registro decostruttivo: moltiplica, capovolge, affetta giacche in una serie di distorsioni prospettiche e nel mentre infantilizza il suo uomo, lo rende scolaretto. Questa stagione il nero è solo la parte iniziale di un detour che prende presto toni lisergici e tropicali.
Da Paul Smith la sartorialità smilza e precisa, spilungona come Sir Paul in persona, è da sempre di casa, insieme ad una verve scanzonata molto Brit, che a questo giro prevede giacche boxy, pantaloni asciutti e panciotti indossati senza niente: non solo le gambe, dunque, ma anche le braccia come zona erogena. La giarrettiera maschile e il reggimaniche ricorrono come dettagli seduttivi da Officine Generale: segni che punteggiano, a volte con troppa foga, un guardaroba di forme identiche per lui e per lei, precise ed eleganti con quello charme parigino che si percepisce sempre ma non si puó restituire a parole.
Da Kenzo, infine, è ancora una volta un incontro di est e ovest, con l'inflessione cool/stradaiola per la quale il direttore creativo Nigo è stato cooptato. Si attraversano vari clichè nippo-parigini, dalle rose al pescatore Sampei alle giacche da karateka per finire con una felpa nera da negozio di souvenir, in maniera un po' facile e senza vero slancio: la ricetta ancora, non torna, ed è un peccato. Il logo è profuso ovunque, ma non basta a creare desiderio.
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