Da macchina del consenso a censura: la storia di Trump sui social network
Bloccati gli account del presidente uscente. E crescono gli interrogativi su quanto proprio i social siano stati fucina di un estremismo pericoloso, aggregatori poco coscienti di gruppi suprematisti e sovranisti dove il germe dell'odio è cresciuto troppo in fretta
di Biagio Simonetta
3' di lettura
Dal gaudio, all'oblio. Il matrimonio fra Donald Trump e i social network sembra al capolinea. Ed è una storia che si regge su equilibri molto precari, fatta di follower, consenso e democrazia. Nelle ultime ore, con l'inferno di Capitol Hill, gli account del tycoon sono stati sospesi. Ha iniziato Twitter, che ha silenziato @realDonaldTrump quando in Italia era l'una di notte. Poco più tardi è toccato anche a Facebook. E ora crescono gli interrogativi su quanto proprio i social siano stati, in questi ultimi anni, fucina di un estremismo pericoloso, aggregatori poco coscienti di gruppi suprematisti e sovranisti dove il germe dell'odio è cresciuto troppo in fretta, fino a sfociare nel mezzo golpe americano andato in scena a Washington.
Il blocco degli account
Mentre a Washington, gli esponenti dell'alt-right americana, fedelissimi del presidente Trump, iniziavano a far pressione sull'ingresso del Campidoglio, sui social già infuocava il dibattito. E quando Trump ha postato un video in cui parlava di elezioni rubate e diceva ai suoi sostenitori «so come vi sentite, so che siete addolorati e feriti, ma ora dovete andare a casa», su Twitter molti utenti hanno iniziato a chiedere con insistenza a Jack Dorsey (Ceo del social network) di rimuovere il contenuto. Richiesta esaudita quando in Italia era l'una di notte: «Come conseguenza alla situazione violenta senza precedenti a Washington - hanno scritto da Twitter - abbiamo chiesto la rimozione di tre tweet di Donald Trump che sono stati postati oggi ma che violano le nostre policy sulla Civic Integrity. Ciò significa che l'account di @realDonaldTrump rimarrà bloccato per 12 ore dopo la rimozione di questi Tweet. Se i Tweet non verranno rimossi, l'account rimarrà bloccato. Le future violazioni delle Regole di Twitter, comprese quelle delle nostre policy o che comprendono minacce violente, comporteranno la sospensione permanente del account».
La decisione di Facebook è arrivata un paio d'ore più tardi, prima con la rimozione dello stesso video di Trump («Lo abbiamo rimosso perché riteniamo che contribuisca al rischio di violenze» hanno scritto da Menlo Park), poi con la sospensione degli account del tycoon (facebook e Instagram) fino a fine mandato. Zuckerberg, secondo le ricostruzioni del sito Axios, avrebbe definito la situazione a Washington una vera «emergenza» e, in una email ai dipendenti, ha assicurato che si stavano valutando altre misure per tenere la gente al sicuro. Blocchi simili sono arrivati anche su YouTube (che ha rimosso sempre lo stesso video di Trump, perché «viola le politiche sulla diffusione delle brogli elettorali»).
Nelle stesse ore è arrivato questo tweet di Tim Cook, Ceo di Apple: «Oggi è un capitolo triste e vergognoso nella storia del nostro paese. Dobbiamo completare la transizione all'amministrazione del presidente-eletto Joe Biden».
Trump e i social
Se Donald Trump è stato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America, un pezzetto di merito lo deve ai social network. Mentre tutti i sondaggi lo davano spacciato (nei confronti della candidata democratica, Hillary Clinton), Trump vinceva a mani basse ogni duello sui social. Ed è lì che il tycoon ha creato una macchina di consenso incredibile. Andando a scavare nel disagio e nel malcontento dell'America più nazionalista, quella del suprematismo bianco, dei sobborghi e dell'entroterra, del sentimento anti-cinese, dell'orgoglio a stelle e strisce trasformato in odio verso lo straniero. Una strategia che ha portato il tycoon alla Casa Bianca e l'America verso un equilibrio sociale molto precario.
Poi Trump ha continuato a usare i social come canali ufficiali di comunicazione, stravolgendo le vecchie regole. Spesso un tweet del presidente ha mandato in orbita (o all'inferno) i listini di Wall Street. “Make American Great Again” e “American first” sono stati i due messaggi più postati, quasi ossessivamente, da Trump in questi anni. Un cocktail di pericoloso populismo che negli ultimi mesi ha cominciato a scricchiolare.
Il 26 maggio 2020, Twitter segnala per la prima volta come fuorviante un tweet del Presidente Trump. È un post sul voto postale, col tycoon che parla di esito falsato. Da quel giorno, il social network di Dorsey interviene più volte sui contenuti twittati dall'account presidenziale. E lo stesso fa Facebook, conscio che elezioni americane (quelle poi vinte da Biden a Novembre) rischiano di essere travolte dalle fake news. Oggi che quelle elezioni sono passate, i social intervengono per silenziare messaggi che rischiano di alimentare l'odio. Un odio che per anni si è sedimentato, fino a diventare rabbia, proprio sulle stesse piattaforme.
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