«Da Palermo a Roma, il mio teatro più aperto alla città e ai giovani»
Parla Francesco Giambrone nuovo Sovrintendente: «Garantiremo l’alta qualità e porterò il teatro in periferia. Conti a posto, grazie a Franceschini e alle risorse per le Fondazioni ridurremo il debito».
di Nicoletta Picchio
4' di lettura
«Vede, che un grande teatro come quello dell’Opera di Roma abbia una grande stagione, con grandi artisti e una grande orchestra è normale, ci mancherebbe! Tra l’altro nel paese dove è nato il melodramma. La vera sfida è un'altra: valorizzare il ruolo sociale del teatro, creare un rapporto con la città, con le periferie, renderlo riconoscibile attraverso il messaggio che esprime. È questo compito di servizio pubblico che giustifica i finanziamenti che arrivano dallo Stato».
Francesco Giambrone è nel suo studio, al secondo piano di piazza Beniamino Gigli. Un arredamento essenziale. E mentre parla si sporge in avanti, con un linguaggio del corpo che esprime la profonda convinzione di come vorrà caratterizzare il suo ruolo di Sovrintendente. Frutto della lunga esperienza, 8 anni, al teatro Massimo di Palermo, realtà magica, ma difficile e piena di contrasti, dove il Massimo è simbolo della città e dove Giambrone ha avuto anche l’incarico di assessore alla Cultura (è nato a Palermo, nel 1957) e di una sensibilità all'inclusione che, risponde, è sempre stata una sua cifra.
A Roma da tre mesi, ha cominciato a muoversi sui due fronti: un'inaugurazione per la prossima stagione dell'opera che porterà in scena i Dialoghi delle Carmelitane di Francis Poulenc, con la regia di Emma Dante; l’ambizione di mettere in scena il Ring di Richard Wagner, un progetto che aleggia da tempo ma non ancora realizzato, causa anche il Covid. E martedì 22 marzo ci sarà la prima di Turandot con regia e scene del famoso artista cinese Ai Weiwei, saltata per la pandemia. Contemporaneamente gira per la città: «incontro gli amministratori dei municipi, le associazioni di volontariato, i comitati del territorio. Si stupiscono di vedermi. Parlo con loro su cosa possiamo fare insieme, ragioniamo su progetti che possano nascere lì, nelle periferie, e poi avere un approdo al teatro».
Un'iniziativa pilota è già al nastro di partenza: «stiamo lavorando con una decina di municipi per realizzare nella tarda primavera una serie di attività all'aperto che poi saranno rappresentante anche in teatro». È un passo avanti rispetto all'esperienza dell' Opera Camion che Giambrone ha già realizzato da sovrintendente del Massimo, lavorando in tandem con Carlo Fuortes, suo predecessore a Roma: «l'abbiamo progettata insieme, lui nella Capitale, io a Palermo. Ho visto bene gli effetti che ci sono stati. Il mio obiettivo è andare oltre: l'Opera Camion arriva sul territorio e se ne va, invece bisogna creare qualcosa che nasca nelle periferie, specie in una grande città come Roma, fare in modo che la gente si riconosca del teatro dell'Opera, lo senta suo».
Una riconoscibilità da raggiungere anche oltre l'espressione artistica. Il 25 febbraio, in occasione della prima del trittico di danza Forsythe/Inger/Blanc, la facciata del Costanzi si è illuminata di giallo e di blu, in segno di vicinanza al popolo ucraino. E sarà illuminata anche durante la Turandot. «E' la prima volta che il teatro si illumina, che si esprime un pensiero, sottolineando il suo ruolo sociale». Saranno ucraine la direttice d'orchestra per Turandot, Oskana Lyniv, e il soprano Oskana Dyka.
Il teatro deve anche aprirsi: agli studenti, per studiare, con biblioteca e commessione wifi. E poi un ristorante: «nella piazza davanti al Costanzi, perché no… bisogna farla vivere, come una contemporanea agorà». Intanto c'è già un progetto: «una notte a teatro, per i bambini. Passeranno una giornata intera nel teatro e dormiranno la notte, con tende e sacchi a pelo». Si farà presto, prima della fine dell'anno scolastico. «Il mio riferimento non è solo il microcosmo di persone che vengono a teatro, alle quali propongo l'eccellenza di un realtà importante come quella di Roma. Il mio riferimento è la gente, la città». È nel ruolo sociale, che «si giustifica il finanziamento pubblico. I soldi non sono mai abbastanza, ma più il teatro sviluppa la sua funzione sociale, più sono pochi i soldi stanziati», dice Giambrone, che è anche presidente dell'Anfols, l'Associazione nazionale Fondazioni lirico-sinfoniche. Nella legge di bilancio, sottolinea, c'è una misura importate: la ripatrimonializzazione delle fondazioni liriche, una norma attesa da anni, con 100 milioni nel 2022 e 50 nel 2023. Quando furono istituite le Fondazioni liriche, spiega Giambrone, la dotazione patrimoniale non fu stanziata. «Oggi ci dà maggiore solidità, la pandemia ha pesato, anche se ho trovato un teatro a posto con i conti». Si potrà ridurre il debito, oggi di circa 42 milioni, in una situazione dove il bilancio 2020 si è chiuso con un utile di 176.255 euro. I contributi pubblici sono complessivamente quasi 38 milioni (poco più di 21 statali). A metà febbraio è stato approvato il bilancio previsionale 2022, atteso in pareggio. Dal prossimo, dice il sovrintendente, aumenterà l'apporto dei privati: a quelli storici e più importanti, Acea e Camera di Commercio di Roma, se ne stanno aggiungendo altri. «C’è molto interesse da parte privata», dice Giambrone. Un fattore economico, ma anche il segnale di quel “teatro di tutti” che sarà il suo Costanzi.
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