Da Valentino a Dolce&Gabbana cresce il mecenatismo 2.0
Si moltiplicano i progetti di sostegno ai talenti emergenti promossi dai big brand. L’offerta è spesso la visibilità globale, anche se ai giovani che sono riusciti a non soccombere alla pandemia servirebbero capitali e assistenza sulla gestione della filiera e della distribuzione
di Marta Casadei
I punti chiave
- Negli ultimi due anni numerosi brand (N.21, Gucci, Valentino, Dolce&Gabbana) hanno lanciato progetti per sostenere gli emergenti
- Il mecenatismo fashion aiuta i giovani talenti ad acquisire visibilità dopo la pandemia
- Capitali e adeguato supporto nelle scelte possono fare la differenza
4' di lettura
Se le politiche di supporto ai giovani letterati di Gaio Cilnio Mecenate erano pensate ebbero lo scopo e il merito di far risplendere la Roma di Ottaviano Augusto (che è giunta fino a noi proprio grazie a Orazio e Virgilio), la strategia di supporto ai giovani stilisti punta non solo a promuovere un’immagine positiva e dinamica della mai a rafforzare l’idea di una moda italiana che esce dalla pandemia non ripiegata in se stessa, bensì aperta a nuovi stimoli e punta a rifiorire nutrita da nuova linfa. All’insegna della collaborazione tra istituzioni, big brand, piccole realtà.
Il progetto Valentino-Cnmi parte da Marco Rambaldi
Nell’ultimo biennio infatti si sono moltiplicati gli annunci di programmi ad hoc per sostenere i talenti emergenti - fortemente penalizzati da una pandemia che ha messo (seppur temporaneamente) in ginocchio perfino i grandi gruppi - che vedono in prima linea i marchi più established. È il caso, per esempio, di Valentino che ha annunciato - in sodalizio con la Camera nazionale della moda - un progetto che vedrà di stagione in stagione un giovane designer ospite del canale social Instagram @maisonvalentino per raccontare le proprie creazioni e la propria vision. Il progetto partirà a febbraio, durante la fashion week di Milano, con Marco Rambaldi.
Classe 1990, bolognese, Rambaldi nel 2014 ha vinto il concorso “Next Generation” di Cnmi e ha già più volte presentato le proprie collezioni a Milano. «Per noi è una grande occasione: il nostro è un marchio indipendente, basato a Bologna, e presentare le nostre creazioni sull’account instagram di Valentino sarà sicuramente un volàno per la visibilità a livello globale», spiega Marco Rambaldi. Che non nega, tuttavia, come per un brand emergente sia fondamentale un aiuto economico oltre la visibilità: «È fondamentale per poter garantire investimenti. Noi per esempio vorremmo investire nella nostra piattaforma e-commerce». Durante la pandemia, infatti, «le vendite online hanno bilanciato il sell out basso registrato nei negozi fisici. Noi vendiamo attraverso grandi piattaforme come Farfetch o Rinascente, ma vorremmo strutturare meglio il nostro e-store». Secondo il designer - che ha due soci - la pandemia non ha avuto solo un impatto negativo sui piccoli brand: «Durante le fashion week fisiche gli addetti ai lavori non riuscivano a passare al nostro evento o a vedere la collezione, mentre il format digital ci ha permesso di ottenere maggiore attenzione».
I big brand a sostegno degli emergenti
Attorno alla visibilità ruotano molti dei progetti messi a punto dai brand “established” per favorire i giovani talenti. I designer emergenti selezionati da Alessandro Michele, per esempio, trovano spazio nella piattaforma multifunzionale Gucci Vault. Che oltre a mettere in evidenza profili e collezioni offre al consumatore la chance di acquistare direttamente i prodotti. Il fondatore e direttore creativo di N.21 Alessandro Dell’Acqua, invece, ha lanciato a settembre 2020 un programma di mentorship in collaborazione con lo showroom Tomorrow Ltd. Per il 2022 ( e quindi ancora per la stagione invernale) il supporto va al designer napoletano Valerio Leone. Da ultimo in ordine cronologico, l’annuncio di Dolce&Gabbana che, durante la fashion week donna di febbraio, valorizzerà il lavoro della designer coreana Miss Sohee che avrà l’opportunità di presentare la propria collezione negli spazi della maison a Milano. Un modo per attirare l’attenzione sul brand in un momento - come la settimana della moda - in cui buyer e giornalisti che si trovano in città possono fare la differenza nel futuro del progetto.
Quelle elencate non sono le prime forme di “mecenatismo”rintracciabili nella moda italiana. Già nel 2013 Giorgio Armani metteva a disposizione il suo Armani Teatro a creativi meritevoli di uno slot nel calendario ufficiale della fashion week milanese ( e di una location d’eccezione): da Andrea Pompilio (il primo a sfilare in via Bergognone con la P-E 2014) al giapponese Ujoh, passando per Lucio Vanotti e Vivetta. Senza contare i progetti organizzati dalle istituzioni, come Pitti, White e la Camera nazionale della moda: ultima in ordine cronologico l’alleanza Cnmi-Rinascente per la promozione di 11 brand emergenti nello store Rinascente Duomo e online, con il Milano Fashionable Project.
Rizzi, direttore Tutoring di Pitti: «Guidiamo nelle scelte ma servono capitali»
«Questi progetti sono un primo step importante per dare supporto ai giovani: la visibilità fa parte del pacchetto di cose che servono agli emergenti, ma dovrebbe essere parte di una strategia più articolata», spiega Luca Rizzi, direttore della divisione Tutoring & Consulting di Pitti Immagine. La divisione si occupa di gestire alcuni designer (in qualità di agente) e di affiancare le start up nel loro percorso di crescita: «Cerchiamo di aprire gli occhi ai ragazzi, dicendogli quali step fare ma soprattutto quali non fare», dice Rizzi.
Non è un momento semplice per chi vuole lanciare e far crescere un brand di moda, seppur con un’idea di partenza: «Il problema è reperire capitali: i business angel si concentrano su realtà più scalabili; i fondi considerano solo le aziende che hanno già fatturati alle soglie del milione di euro, e così le start up di moda spesso si basano su capitali familiari», continua Rizzi. Che, però, non bastano (soprattutto se non vengono impiegati in modo corretto). La pandemia ha complicato ulteriormente le cose: «La situazione si è fatta difficile sia sul piano delle vendite - molti giovani vengono costretti al conto vendita dalle boutique, ndr - ma anche della supply chain: molti laboratori sono stati costretti a chiudere e i piccoli brand, che non assicurano grossi volumi, ci sono andati di mezzo». Che fare, dunque, per supportare al meglio i giovani? «Ci vorrebbe una maggiore sinergia tra istituzioni e progetti così da dare all’emergente un finanziamento».
Gli esempi ci sono: il gruppo Lvmh, per esempio, dal 2014 ogni anno assegna al vincitore del Lvmh Prize una borsa di studio del valore di 300mila euro, cui si aggiunge un programma di tutoring di 12 mesi. L’International Woolmark Prize, per esempio, offre 200mila dollari australiani (circa 130 mila euro) al vincitore, oltre a un supporto nella creazione e nella vendita della propria collezione. Non ultimo, il Global Change Award della H&M Foundation che premia con 1 milione di euro (da dividere) le start up e le aziende che presentano i più promettenti progetti di moda sostenibile.
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