Dagli affitti alla morality clause per gli influencer: contratti a prova di nuovi imprevisti
Le aziende del fashion stanno rivedendo i vecchi contratti o stipulandone di nuovi con nuove clausole, sempre più specifiche, per tutelarsi su scala internazionale
di Marta Casadei .
3' di lettura
Il Covid-19 ha fatto balzare in cima alla lista delle priorità delle aziende del settore moda il tema della contrattualistica. Così gli studi legali sono stati impegnati, da marzo a oggi, in revisioni di contratti esistenti e stipule di nuovi accordi (spesso internazionali) sempre più specifici e dettagliati. Per prevenire situazioni simili a quella vissuta con la pandemia. E futuri contenziosi.
Verifica della filiera e controllo degli influencer
«Le aziende stanno cercando di inserire nei contratti alcune clausole per tutelarsi in caso di aspetti non previbili ed eliminare eventuali aree grigie - spiega l’avvocato Gianluca De Cristofaro, partner Lca Studio Legale - soprattutto in quei Paesi, che, diversamente dall’Italia, non hanno un Codice civile cui fare riferimento in assenza di tali clausole». De Cristofaro sottolinea come in questi mesi a prevalere sia stata un «atteggiamento di mediazione che, in alcuni casi, ha portato alla riscrittura di alcuni contratti, mentre in altri ha condotto a delle negoziazioni». Il Covid-19, sul fronte della contrattualistica, ha accelerato una serie di tendenze: «La prima è la verifica della filiera - continua De Cristofaro - attraverso la revisione dei contratti non solo di fornitura, ma anche di sub-fornitura, in linea con la sempre maggiore attenzione anche alla tracciabilità del prodotto; la seconda è la revisione dei contratti con influencer e testimonial, rafforzando la morality clause: ora si chiede a testimonial e, in particolare, influencer di non porre in essere comportamenti, e non veicolarli attraverso i social, contrari alle misure introdotte da Governo e Regioni per limitare la diffusione del contagio o, comunque, pericolosi per la salute».
Sugli affitti rischio di contenzioso
Che la pandemia abbia portato cambiamenti nel settore - e con essi, nei contratti che legano le aziende - è innegabile: «In concomitanza con la crisi economica in Grecia, agli studi era stato chiesto di inserire nei contatti clausole che prevedessero un’eventuale ritorno alle valute nazionali - racconta Luca Arnaboldi, managing partner di Carnelutti Law Firm -; oggi viene chiesto l’inserimento di clausole che tutelino da imprevisti come la pandemia oppure clausole catch all, che coprono più situazioni».
In concreto, tuttavia, in alcuni ambiti lo scontro potrebbe andare oltre negoziazioni e redrafting: «Tutto il canale retail sta soffrendo per le chiusure forzate, che non erano previste nei contratti - continua Arnaboldi -, ma i proprietari esigono i canoni: si è cercato di correre ai ripari, ma i rimedi studiati non sono in grado di riparare il danno. Ci saranno ricadute giudiziarie».
Contratti adattati a una scena sempre più digitale
Il Covid-19 ha chiuso i negozi delle griffe in molti Paesi e ha accelerato le vendite online. Un altro cambiamento che ha avuto riflessi non solo sul business, ma anche sull’attività dei legali: «Alcuni contratti di fornitura sono stati “adattati” alla nuova scena digitale - dice Marco Bisceglia, avvocato di De Bedin&Lee Studio legale, che lavora tra Italia, Germania e Cina - così come alcuni contratti con le aziende della logistica sono stati rivisti per garantire loro condizioni più favorevoli, visto l’incremento del lavoro».
Bisceglia sottolinea anche come i cambiamenti in corso nel settore abbiano contribuito a far nascere l’esigenza di stipulare contratti con attori nuovi: «La promozione dei prodotti si è spostata su canali diversi, dalle vendite in streaming fatte dagli influencer ai branded content nelle serie Tv. Con contratti che disciplinano le nuove partnership».
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