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Chi si sposta in bici elettrica dovrebbe pedalare con casco, targa e assicurazione. O almeno è quello che propone Andrea de Bertoldi , il senatore bolzanino di Fratelli d’Italia che ha depositato un disegno di legge per regolamentare circolazione delle bici e condotta dei ciclisti, «troppo spesso protagonisti di atteggiamenti irrispettosi della legge in tema di circolazione stradale». Non è chiaro a quali dati si affidi de Bertoldi quando spiega che i ciclisti sono «troppo spesso» irrispettosi, ma la sua tesi non è inedita. E si accompagna una lunga serie di luoghi comuni che incombono su chi usa la bici tradizionale o elettrica come mezzo di trasporto abituale. Ecco una rassegna di quanto si può sentire, e leggere, quando si decide di montare in sella.
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«La bici è il mezzo più pericoloso in assoluto, come fai?»
È vero, i ciclisti sono una categoria ad alto tasso di vulnerabilità. Nel 2016, secondo dati di un report della Commissione europea , si sono contate 2.015 vittime in bici su scala europea: 275 solo in Italia, cifra seconda in valori assoluti solo alle 393 della Germania. Troppe, se si considera che l’uso delle due ruote a pedali è piuttosto contenuto rispetto ad altri mezzi, soprattutto in Italia. Un’indagine di Legambiente ha evidenziato che appena il 3,5% degli occupati usa la bici per spostamenti regolari da casa a scuola o lavoro. Se si sommano gli studenti, si arriva a poco più di un milione di persone in valori assoluti.
Questo, però, non trasforma la bici nel mezzo «più pericoloso», se non altro in rapporto al totale delle morti sulle strade. In Italia, sempre secondo la Commissione, gli incidenti in bici provocano l’8% delle vittime di incidenti stradali, l’equivalente di 4,5 morti su strada per milione di abitanti. Quelli su automobile arrivano a incidere su oltre il 40%, nella somma tra conducenti e passeggeri. Nel solo 2017 si sono registrate, ricorda l’Istat, un totale di 3.378 vittime di incidenti stradali e 246.750 feriti (l’equivalente di 5,1 feriti gravi a mattina). La quota di automobilisti deceduti è pari a 1.464 persone.
«Ma se ci sono ciclisti ovunque!»
Non proprio, stando ai numeri. Secondo dati Istat, già accennati sopra, in Italia nel 2015 poco più di un milione di cittadini hanno usato «sistematicamente» la bicicletta per il percorso casa-lavoro o casa-scuola. Una minoranza di giovani? Neppure, visto che la quota di «frequent biker» cala al 2,4% del totale nella fascia di età inferiore ai 34 anni. L’uso dei due pedali è relativamente alto in alcune regioni del Nord come Trentino-Alto Adige (l’8,4% dei cittadini usa la bici tutti i giorni per andare a lavoro), Emilia-Romagna (7,8%) e Veneto (7,7%) , ma crolla a valori minimali in buona parte del Centro e del Sud del Paese: la quota di occupati sopra ai 15 anni che ricorre alla bici per andare a lavoro è pari allo 0,6% in Basilicata, Calabria e Sicilia e allo 0,5% nel Lazio e nel Molise. In valori assoluti, nota sempre Legambiente, il solo Trentino-Alto Adige ospita da solo un totale di ciclisti pari quasi a quello di Campania, Sicilia, Calabria, Puglia messe insieme.
«Sì, ma come fai a spostarti su certe distanze?»
Dipende, ovviamente, da quali distanze si intendono. L’ultimo Rapporto sulla mobilità degli italiani , un’indagine curata dall’Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti, ha evidenziato che il 75,5% degli spostamenti medi si svolge entro distanze di corto raggio (entro i 10 chilometri), con una quota del 34,7% entro i termini di prossimità (meno di 2 chilometri). La propensione all’utilizzo di mezzi motorizzati sta subendo un calo costante negli anni, ma resta comunque prioritaria: circa il 52% dei cittadini intervistati nel rapporto ricorre ad auto o moto anche nelle tratte urbane, percentuale che supera da sola quella raggiunta dagli spostamenti a piedi (31,5%), sui mezzi pubblici (9,3%) e, appunto, in bicicletta (7,1%, anche se in ascesa dal 5,2% del 2008).
Comunque i ciclisti sono indisciplinati. Come quelli che vanno in contromano...
La bicicletta è un veicolo e, in quanto tale, deve rispettare il codice della strada. Ma bisogna fare attenzione a non confondere il concetto di «contromano» con quello di «doppio senso limitato». Nel primo caso, il ciclista infrange una regola perché viola il senso di marcia indicato. Nel secondo caso, rispetta un’eccezione garantita alle due ruote in circostanze ben delimitate: appunto il «doppio senso limitato», cioè la possibilità di percorrere in entrambe le direzioni strade con una larghezza minima e un limite di velocità basso per le vetture (in genere 30 chilometri orari).
Ma casco, assicurazione e targa non vanno a vantaggio dei ciclisti?
Obbligatorio o meno, il casco è sempre consigliato ai ciclisti. L’obbligo di omologazione e assicurazione sarebbe, invece, un unicum senza precedenti in Europa- e senza alcuna efficacia, se l’obiettivo è davvero di aumentare il grado di sicurezza di chi monta in sella. L’unico caso riscontrabile riguarda le cosiddette speed e-bike, una categoria di bici elettriche potenziate che può raggiungere i 45 Km/h, già oggi classificate in Italia come ciclomotori e conducibili solo da chi è in possesso almeno di una patente AM (quella che si può acquisire dai 14 anni in poi per la guida di ciclomotori con cilindrata pari o inferiore a 50 cm³). «Per garantire la sicurezza dei ciclisti bisogna regolare e controllare gli altri mezzi di trasporto » dice Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. Nel 2017, secondo dati Istat, gli incidenti stradali con altri mezzi hanno provocato 254 vittime fra i ciclisti. «La sensazione, visti i numeri - dice Ciafani - è che bisognerebbe più difendere i ciclisti che difendersi “dai” ciclisti». Oltretutto, l’Italia si è dotata con un certo ritardo di una normativa che tutelasse i dipendenti che si recano al lavoro in bici. Si è dovuto aspettare il 2015 perché la legge 221 ( il Collegato ambientale ) stabilisse l’indennizzabilità dell’infortunio «in itinere, qualora si sia verificato a seguito dell'utilizzo della bicicletta nel percorso casa-lavoro» .
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