Dagli odori della cucina agli animali, ecco cosa dice la Cassazione sulle liti condominiali
di Francesca Milano
3' di lettura
La vita in condominio è una battaglia che spesso si combatte nelle aule di tribunale. L’ultima lite in ordine di tempo è quella che ha visto in Cassazione “sfidarsi” due famiglie sulla puzza di fritto proveniente da un appartamento. Ma le cause tra condomini sono scatenate da diversi motivi, dagli animali ai fumi. Ecco cosa ha deciso finora la Cassazione.
L’odore di fritto
Con la sentenza 14467/017 nascono le «molestie olfattive», che la Cassazione ha inquadrato nel reato di «getto pericoloso di cose» (articolo 674 del Codice penale).
Il panificio
La Cassazione (Sezione III, sentenza 7605/2012) ha affrontato il caso di un panificio che provocava emissioni di vapore e di fumo sino a imbrattare un condominio vicino. La Corte aveva ritenuto di configurare a carico del titolare del panificio la responsabilità penale per la violazione dell’articolo 674 del Codice penale «in quanto l’agente, a prescindere dal superamento o non dei limiti di emissione, è, comunque, tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie per evitare fuoriuscite di gas, vapori o di fumo atti ad imbrattare o molestare le persone».
La pizzeria
L’odore della pizza può disturbare al punto da essere considerato «molesto». Questo ha deciso la Cassazione nella sentenza depositata il 26 ottobre 2016 (la n. 45225) che ha esaminato il caso della titolare di un ristorante colpevole - a giudizio del tribunale di Vicenza - del reato di «getto pericoloso di cose» (articolo 674 del Codice penale) nei confronti degli inquilini residenti negli appartamenti sopra il suo locale.
Il disinfettante
Anche l’uso di un potente disinfettante può far scatenare una lite in condominio: secondo la Cassazione commette reato chi getta nel cortile un potente disinfettante, provocando irritazione agli occhi di altri condomini. La decisione della Corte ha condannato una donna emiliana che aveva tentato di disinfestare con la creolina le zone del cortile infestate dalle deiezioni del gatto dei vicini. E a nulla vale la giustificazione della “legittima difesa”.
La gattara
Prendersi cura in luogo privato (su un terrazzo di esclusiva proprietà) di gatti randagi, dando loro da mangiare seppur a intervalli non regolari, espone chi pone in essere tale attività al rischio di vedersi far carico dell’obbligo di provvedere alle necessarie vaccinazioni e altre incombenze relative ai felini.
Questo è il principio sancito dal Tar Sicilia, sezione distaccata di Catania, con sentenza n. 3/2016 . Il caso, segnalato dal blog “24zampe” del Sole 24 Ore, era nato da una denuncia di un condòmino, il quale aveva segnalato con un esposto la presenza di una colonia di gatti randagi che sostava spesso sul terrazzo di proprietà di un altro condòmino, causando gravi inconvenienti igienico sanitari all’intero condominio.
Il cane
La Terza Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 54531 del 22 dicembre 2016, ha definito alcuni importanti principi in materia di rapporto tra le persone e gli animali domestici negli spazi urbani. In particolare la padrona di alcuni cani era stata indagata per “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” e “getto pericoloso di cose”. In particolare veniva contestato alla donna di tenere i propri animali in scarse condizioni igieniche (tanto che la stessa era già addirittura stata condannata due volte per le medesime condotte). Anche nel 2014, con la sentenza n. 45230, la Cassazione si era occupata di cani condannando il proprietario accusato dai vicini di casa di detenere gli animali in condizioni dannose non solo per i cani, ma anche per gli umani. Nel caso in questione i cani abbaiavano spesso e dal cortine provenivano cattivi odori dovuti alla scarsa pulizia dei recinti.
La canna fumaria
L’intollerabilità delle immissioni di fumo provenienti da una canna fumaria deve essere provata da colui che ne lamenta l’esistenza e la semplice presenza di fumo non è di per sé sufficiente a configurare un danno alla salute. Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza n. 4093 del 20 febbraio 2014), affermando che «l’accertata esposizione ad immissioni intollerabili non costituisce di per sé prova dell’esistenza di un danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell'effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica».
La vernice
Rientra nel concetto di emissione di gas, vapori e fumi anche la vernice. Questo ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 2377/2012 che ha esteso l’articolo 674 del Codice penale alle «sostanze volatili» che emanano odori suscettibili di arrecare disturbo, disagio o fastidio alle persone.
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