Chi sono i no vax: dai complottisti ai medici obiettori di coscienza
Il no ai vaccini o all’obbligo di vaccinazione riunisce tendenze diverse, dai teorici delle «congiure» di Big Pharma alla rivendicazioni di libertà costituzionali. Abbiamo provato a esplorarlo
di Alberto Magnani
I punti chiave
6' di lettura
La pagina Facebook dell’Ufficio stampa di Comilva, sigla di Coordinamento del Movimento Italiano per la Libertà di Vaccinazione, è seguita da oltre 5mila utenti. Gli ultimi due post, risalenti a giugno, promuovono un libro sulla «libertà di (non) vaccinarsi» del giurista Alessandro Attilio Negroni e un’altra pubblicazione, a firma del candidato a sindaco di Bologna Andrea Tosatto: «The Covid show. Dalla pandemia alla ristrutturazione socio-economica globale». La prefazione è di Sara Cunial, l’ex deputata del Movimento Cinque Stelle diventata nota per le sue battaglie contro l’obbligo di vaccini e i «Cts da salotto».
Il mondo dei cosiddetti no vax, i movimenti ostili a vaccini e vaccinazioni, viene identificato soprattutto con le sue derive più radicali e complottiste, dalle ipotesi di disegni nascosti per il controllo della popolazione a quelle su una regia sotterranea dei gruppi farmaceutici. Ma il fenomeno include, anche, gruppi o singoli che non hanno nessuna intenzione di inquadrarsi come anti-vaccinisti e motivano il proprio no ai farmaci contro il Covidcon appelli alla «libertà di scelta» o all’obiezione di coscienza. Gli esempi vanno dal muro di migliaia di operatori sanitari contro l’obbligo vaccinale alla titubanza di fasce della popolazione che non si ritengono documentate per affrontare la somministrazione. Per arrivare a testi, come quello citato sopra, sulla facoltà di non vaccinarsi: non un manifesto no vax ma un’analisi giuridica per ragionare «da una prospettiva liberale» sul diritto a ricevere o meno il farmaco.
Il «complotto dei Big Pharma» e la contrarietà ideologica
Anche se non assorbono tutto il movimento, le tesi complottiste si sono conquistate una certa fama nell’opposizione ai vaccini per il Covid-19, a volte sostituendosi o confluendo nel cosiddetto «negazionismo» sull’esistenza del virus in sé e sulle manovre che lo avrebbero generato. Gli argomenti utilizzati contro la vaccinazione anti-Covid, se non i vaccini tout-court, riecheggiano quelli che hanno alimentato fin dalle origini l’avversione ai farmaci: dai dubbi sulla efficacia e la validazione «scientifica» dei vaccini alla convinzione che la «verità» sugli effetti negativi venga nascosta o soppressa dall’establishment medico e politico, per arrivare al macro-filone degli interessi economici coltivati sotterraneamente da alcune industrie. In questo caso i sospetti non possono che virare sui cosiddetti Big Pharma, i colossi della farmaceutica, accusati di aver favorito la pandemia per lucrare sulla produzione di vaccini e, in futuro, di altri farmaci a larga diffusione.
La teoria finisce spesso per sovrapporsi con altri scenari che possono sembrare più stravaganti, ma godono a tutt’oggi di una certa popolarità. È il caso del presunto coinvolgimento di magnati come il miliardario di origini ungheresi George Soros o del fondatore di Microsoft Bill Gates, accusato di aver ordito l’intera pandemia per impiantare dei micro-chip attraverso l’iniezione di vaccini. L’ipotesi del complotto di Gates si sovrappone a un’altra tesi in voga ai tempi della prima ondata del virus, quella del 5G. In origine si sosteneva che le reti di quinta generazione propagassero il virus, in un secondo momento si è diffusa la bufala che proprio i «chip via vaccino» ideati da Gates servissero al controllo della popolazione via 5G.
Il no dei sanitari e le battaglie sindacali (e politiche)
Una questione più sfumata, e controversa, è quella del rifiuto dell’obbligo vaccinale e non del vaccino in sé. Il caso più eclatante è stato il rifiuto opposto nelle varie regioni di da una minoranza di operatori sanitari, vincolati dal decreto 44 del 9 aprile 2021 a sottoporsi al vaccino come requisito «essenziale» per esercitare la propria professione. L’imposizione dell’obbligo, e le sanzioni minacciate a chi lo infrange, ha scatenato una battaglia legale che incassa adesioni in crescita fra medici, infermieri, operatori sanitari, ma anche farmacisti, veterinari, psicologi e altre figure contemplate dal testo dello scorso aprile. A oggi circa 2.500 professionisti, difesi dall’avvocato Daniele Granara, hanno presentato ricorso a vari Tar fra Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto. «E i numeri si stanno ampliando», sottolinea Granara. Il bacino non manca, se si considera che sono oltre 42mila i professionisti che non hanno ancora ricevuto una prima dose.
Il ricorso, spiega, è una «battaglia di civiltà» contro la «illegittimità costituzionale» di imporre la vaccinazioni come requisito stesso per poter lavorare. L’obbligo, si legge nel ricorso presentato al Tar del Piemonte, è «riferito ad un vaccino di cui non è garantita né la sicurezza né l'efficacia, essendo la comunità scientifica unanime nel ritenere insufficiente, sia dal punto di vista oggettivo sia dal punto di vista temporale, la sperimentazione eseguita». La tesi, insomma, è che gli operatori siano costretti a farsi iniettare un prodotto che non offre dati definitivi né sul suo grado di sicurezza né su quello di efficacia, con possibili ricadute sulla propria salute. La rivendicazione, si legge nel ricorso, si allarga però anche alla «libertà di scelta della cura e sulla libertà della ricerca scientifica sancite rispettivamente dagli articoli 2, 9, comma 1, 32 e 33 della Costituzione., diritti inviolabili e parte integrante del patrimonio costituzionale comune dei paesi dell'Unione Europea». In nessun paese Ue «a differenza dell'Italia, siffatto obbligo è stato imposto» si legge sempre nel testo.
L’obbligo vaccinale è stato bocciato anche da alcune sigle sindacali, con un approccio più orientato ai rapporti di lavoro e al «ricatto salariale» che sarebbe implicito. È l’espressione utilizzata dalla Confederazione unitaria di base (Cub) per manifestare la sua vicinanza agli operatori che rischierebbero «discriminazione» perché non si sono sottoposti al vaccino. «Nessuna discriminazione e nessun ricatto devono essere fatti ai lavoratori e lavoratrici in base a scelte in questo momento particolarmente difficili - si legge in una nota pubblicata a maggio 2021 - Non è giusto che chi non accede all'obbligo vaccinale sia privato del posto di lavoro e del reddito necessario al mantenimento di sé e della sua famiglia». Il rifiuto per principio dell’obbligo vaccinale è sposato anche da forze politiche che tendono spesso, ma non solo, alla destra sovranista. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si è schierata apertamente contro l’obbligo vaccinale, sottolineando che «non è previsto dalla nostra Costituzione» e che «l’Italia non è un regime totalitario».
Gli «esitanti» dal vaccino e il caso degli over 60
L’atteggiamento dei ricorrenti al Tar ricorda la cosiddetta vaccine hesitancy , «l’esitazione vaccinale»: la tendenza a rinviare o evitare del tutto il momento della somministrazione, più per timore che per avversione preconcetta al vaccino o ai «disegni» più o meno realistici che avrebbero condotto alla sua diffusione. Il fenomeno, pregresso alla crisi pandemica, è tornato alla ribalta con l’avvento del Covid e della campagna di vaccinazione avviata nella Ue a fine dicembre 2020. In paesi come la Francia, dove la resistenza alle somministrazioni è più radicata che altrove, alcuni sondaggi avvertivano già a gennaio dell’anno in corso che appena la metà della popolazione avrebbe accettato di farsi inoculare il farmaco.
La campagna di somministrazioni è poi ingranata a buon ritmo, ma c’è uno zoccolo duro che rimane sulla sua posizione. Esattamente come in Italia, dove la tendenza ad esitare sul vaccino è più diffusa della media in una delle fasce anagrafiche più critiche: gli over 60, ad oggi in pesante ritardo rispetto agli obiettivi di copertura. A inizio luglio 2021 risulta coperta appena la metà dei cittadini nella fascia 60-70 anni, per l’equivalente di almeno altri 3,5 milioni di persone che non hanno completato il ciclo vaccinale.
Una ricerca pubblicata a fine aprile 2021 da Iqvia, un fornitore di dati sui servizi sanitari, ha confermato la minore propensione alle vaccinazione di chi ha superato i 60 anni. In particolare, secondo l’indagine riportata anche dal Sole 24 Ore, si registra una quota del 27% di intervistati divisi fra chi si oppone sicuramente al vaccino (13%) e chi «probabilmente» ne farà a meno (14%), contro il 13% degli under 25 (anche se, un po’ a sorpresa, il tasso risale al 27% fra i giovani adulti del blocco 25-34 anni).
I motivi della ritrosia? In realtà non sono noti o «quantificati», al di là di ipotesi che vanno da un minor accesso alle informazioni a problemi tecnici con le prenotazioni. Il Commissario straordinario all’emergenza,Francesco Paolo Figliuolo, ha sottolineato l’importanza di «intercettare» chi manifesta più difficoltà nell’uso del web per le prenotazioni e può trovarsi escludo dal canale più rapido di accesso alle prenotazioni. Ma l’ostacolo di fondo, sempre a quanto traspare dalla ricerca, può essere imputato sempre alla cosiddetta esitazione vaccinale. La riluttanza è guidata da motivi come preoccupazione (39%), incertezza (16%), rabbia e insofferenza (7%), ma la scarsa conoscenza dei vaccini resta un fattore dirimente per il 33% dei casi. Nel blocco degli over 65, la quota di chi ritiene di possedere informazioni sufficienti o scarse si aggira sul 37% del totale. In quello dei 25-34 anni non si va oltre il 25%.
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