Dai licenziamenti di massa alla svolta digitale: il «miracolo» di Eindhoven, gioiello tech olandese
di Enrico Marro
3' di lettura
Tutto è iniziato nei primi anni Novanta, quando Eindhoven venne travolta da una crisi senza precedenti: i due colossi manifatturieri che reggevano l’economia del distretto, Philips e Daf, chiusero buona parte degli stabilimenti lasciando senza lavoro un esercito di 36mila persone, un terzo del totale. Una tragedia per la città industriale ai confini con il Belgio, costretta a reinventarsi da zero. Ma anche una scossa che ha liberato enormi energie, in grado non solo di rilanciare il distretto, ma anche di trasformarlo in un gioiello europeo della tecnologia, il cosiddetto “Brainport” (porto dei cervelli), uno dei tre pilastri dell’economia olandese assieme a Rotterdam e ad Amsterdam.
A vederla oggi, con la sua sofisticata skyline di grattacieli, Eindhoven non sembra nemmeno lontana parente della città industriale di trent’anni fa. Nel 2017 il Pil del “Brainport” ha toccato il 4,9% di crescita, contro il 3,2% olandese e l’1,5% italiano, con l’economia del distretto che negli ultimi dieci anni è cresciuta a una velocità media che è due volte e mezza quella dei Paesi Bassi. La densità di brevetti per abitante è tra le prime in Europa, grazie a un ricco sistema di incubatori, acceleratori e campus hi-tech in grado di attirare ben il 40% della spesa in R&S olandese, con un tasso di disoccupazione sceso al 4,4%.
Il “miracolo” poggia le sue fondamenta sul concetto di “tripla elica”: l’unione strategica delle forze delle imprese, delle due università e della politica nel trasformare una tradizionale città industriale in un moderno distretto dell’open innovation, in grado di calamitare talenti da tutto il mondo per “sfamare” un’offerta di lavoro vorace (solo nel settore tecnologico, le aziende stanno cercando oltre 13mila figure professionali).
«Uno dei segreti del successo del Brainport è una catena del valore unica», spiega Ruben Fokkema, project manager responsabile degli investimenti esteri dagli uffici di Brainport Development, l’agenzia di sviluppo economico, i cui uffici si trovano a due passi dall’avveniristica piazza disegnata da Massimiliano Fuksas nel cuore di Eindhoven. «Il nostro ecosistema è davvero in grado di coprire tutte le fasi della vita dell’impresa, dalla R&S ai finanziamenti, dalle vendite ai servizi post-vendita, con una speciale attenzione alla gestione dei fornitori esterni». Non è un caso che ogni anno il distretto dia vita ad almeno un migliaio di startup, un quinto delle quali destinato in media a diventare promettenti imprese hi-tech.
L’ecosistema del distretto poggia su tre pilastri: alta tecnologia, industria e design. Si spazia dall’automotive (Daf e Vdl) a difesa e aerospaziale (Fokker), dall’healthcare (Philips, attiva anche nei sistemi di illuminazione) a elettronica-semiconduttori (Asml, Nxp, Kulicke & Soffa), dall’ottica (Fei, PhenomWorld) alle stampanti 3D (Océ, SpgPrints, Fuji Seals) fino ad agrifood-tech (Gea, Marel, Vencomatic, Kuhn) ed energia solare (Meyer Burger). Oltre a Philips e a Daf, tra i grandi nomi del “Brainport” spicca il colosso Asml, quotato all’indice Nasdaq di Wall Street, leader mondiale nella fornitura di sistemi di fotolitografia per l’industria dei semiconduttori, con una quota di mercato globale dell’80%.
Fiore all’occhiello del distretto sono poi le due università: la celebre TU/e, ovvero l’Università tecnologica di Eindhoven (simile ai nostri Politecnici) e Fontys, Università di Scienze Applicate (simile ai nostri Istituti tecnici superiori). Nei due atenei - che hanno buona parte di corsi e programmi in inglese - si concentra oltre un quarto degli studenti internazionali in discipline tecnologiche presenti in Olanda.
Fedeli al concetto di “tripla elica”, le due università hanno stretto legami fortissimi con il mondo delle imprese. Fontys, in particolare, da oltre dieci anni ha sviluppato il progetto “Partners in Education”: «oggi abbiamo oltre 110 aziende di ogni dimensione che hanno siglato accordi con la nostra università - spiega Lucienne Wijgergangs, coordinatrice del “PiE” - offrendo stage e progetti ai nostri 3700 studenti di discipline ICT ma anche fornendo professionisti per le docenze e i project work».
Una delle ultime società ad aver aderito al progetto è JW Player, multinazionale statunitense con sedi a New York, Eindhoven, Londra e Singapore: si tratta di una piattaforma di intelligence e pubblicazione video che sfrutta gli approfondimenti tratti da contenuti visualizzati su oltre due miliardi di dispositivi unici ogni mese. «Cerchiamo in particolare ingegneri sviluppatori di software e data scientist - spiega la genovese Anna Crosetti, office manager di JW Player ad Eindhoven - e l’inserimento attraverso stage e progetti congiunti si sta rivelando davvero prezioso». Al mondo universitario fanno capo anche buona parte dei 17 incubatori tecnologici e 14 acceleratori presenti nel distretto.
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