Dai pronto soccorso alle terapie intensive: i giovani medici fuggono dai reparti simbolo del Covid
Le richieste delle borse di specializzazione dicono quanto non siano più attrattivi questi reparti anche perché non consentono di svolgere l’attività privata molto più remunerativa
di Marzio Bartoloni
I punti chiave
3' di lettura
È fuga dei giovani dai reparti e dalle specializzazioni simbolo del Covid: da anestesia e rianimazione che prepara per lavorare nelle terapie intensive, l’ultima trincea contro il Covid nei mesi più duri, alla medicina d’emergenza che forma i pronto soccorso travolti dalle prime ondate del virus fino alla microbiologia e la virologia fondamentale per le diagnosi. A dirlo sono i numeri su posti non coperti nel 2021 e nel 2022 nelle scuole di specializzazione che si frequentano dopo la laurea in Medicina. Numeri che dicono quanto non siano più attrattivi questi reparti messi sotto stress dal Covid anche perché non consentono di svolgere l’attività privata e ambulatoriale molto più remunerativa.
Quasi 6mila giovani medici in fuga dalle specializzazioni
Secondo una rilevazione di Anaao Assomed, sindacato della dirigenza medica ospedaliera, e settore Anaao Giovani sono quasi 6mila i giovani medici in fuga dalle Scuole di specializzazione delle università italiane negli ultimi due anni quelli che hanno sentito di più gli effetti del Covid. Su 30.452 contratti banditi negli ultimi due concorsi (2021 e 2022), sono stati infatti 5.724 quelli non assegnati o abbandonati: quasi il 20%, praticamente uno su 5. Per «contratti non assegnati» si intende un contratto che in sede concorsuale non è stato assegnato a nessun medico perché nessuno l'ha scelto. Per «contratti abbandonati» si intende un contratto che è stato assegnato ma il medico assegnatario ha riprovato il concorso l'anno successivo e ha cambiato specializzazione tramite una nuova assegnazione. Dalla rilevazione «risulta una cospicua e pressoché completa adesione a quelle scuole di specialità in cui l'attività privata e ambulatoriale rientra tra gli sbocchi lavorativi, mentre vengono abbandonate o neppure prese in considerazione quelle prettamente ospedaliere e pubbliche che sono state protagoniste nella lotta pandemica».
L’abbandono riguarda le specialità simbolo del Covid
Ma quali sono le specializzazioni (corsi che durano dai 3 ai 5 anni) da cui fuggono di più i giovani neo laureati in medicina? In particolare la “caduta libera” di specialità tra posti non coperti o abbandonati riguarda a esempio la Medicina d'urgenza: qui il tasso di posti non coperti è del 61% con ben 1144 contratti non assegnati o abbandonati, il che significa oltre mille camici bianchi formati in meno per i pronto soccorso già oggi alle prese con una grave carenza di personale. Un’altra specialità troppo poco attrattiva è quella in Anestesia con 688 posti non coperti (il 22%): è qui che si formano i medici che lavorano nelle cruciali terapie intensive dove si sono assistiti i pazienti più gravi colpiti dal Covid. Altre specializzazioni sotto la lente durante la pandemia vedono questa fuga: per microbiologia e virologia i posti vuoti sono 191 (il 78%) e in Patologia e biochimica clinica ci sono 389 contratti non assegnati (il 70%). Di contro, vi è la totale fruizione di contratti di specializzazione per Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Oftalmologia, Malattie dell'Apparato Cardiovascolare. Specialità che aprono all’attività privata molto più remunerativa.
«Il fenomeno avrà forti ripercussioni sul futuro»
«La medicina sta diventando un affare selettivo, in cui le specialità più colpite e sotto pressione durante la pandemia da Covid-19, le specialità gravate da maggiori oneri e minori onori sono in caduta libera, non hanno più appeal», avverte Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato della dirigenza medica ospedaliera Anaao Assomed. «Non è un problema di medici, ma di medici specialisti. Ed è un problema che avrà ripercussioni inevitabili sul futuro di un sistema di cure sempre più in crisi», aggiunge Di Silverio. «L’assenza di programmazione e l'assenza di investimenti sul professionista - ammonisce il segretario Anaao - produce effetti devastanti, rischiando di desertificare alcune branche ed essere in deficit in altre. Un risultato che dovrebbe far comprendere quanto sia urgente investire sui professionisti e per rendere appetibile una professione che oggi non affascina più. Il medico ha perso la sua identità sociale ancor prima che professionale, relegato a mero prestatore di opera alla stregua di un venditore di prodotto, e il paziente si è trasformato in un cliente».
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