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Dai Queen a Bob Dylan: la musica «diversifica» con il cinema. Ecco come

In principio fu «Bohemian Rhapsody», biopic su Freddie Mercury che incassò un miliardo, poi arrivò «Rocketman». Le vie di discografici e case di produzione convergono sempre di più. Tra documentari da un milione e colossal da 50 milioni di dollari

di Francesco Prisco

Addio al regista americano Pennebaker

3' di lettura

L’ultimo della serie non è esattamente un blockbuster. S’intitola David Crosby: Remember my Name, lo ha prodotto il premio Oscar Cameron Crowe e ripercorre la parabola irregolare dell’iconico protagonista della scena West Coast anni Sessanta e Settanta. Tecnicamente è un documentario, più o meno come Rolling Thunder Revue: a Bob Dylan Story , diretto nientemeno che da Martin Scorsese per conto di Netflix.

Poi ci sono i biopic: opere di fiction che ripropongono parabole di vita vissuta da questa o quella rockstar. E ci sono i film letteralmente “costruiti” sul songbook di un artista, con le canzoni che diventano un meraviglioso pretesto per la sceneggiatura. Si sa che la musica ai tempi dello streaming non muove più i soldi di prima della grande crisi, che i 19,1 miliardi di dollari di ricavi mondiali registrati dalla discografia nel 2018 sono un buon risultato, ma non così buono come i 39,4 miliardi del 1996. Si sa che per le case discografiche, major o indie che siano, diversificare è un’ottima strategia per tenere alto il fatturato e che la via prediletta alla diversificazione si chiama marketing.

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Guai, tuttavia, a trascurare le care vecchie sincronizzazioni audio: negli ultimi due anni si assiste infatti a una proliferazione di opere per il cinema e/o le piattaforme di streaming aventi per oggetto vita, morte e miracoli delle rockstar, operazioni nelle quali spesso e volentieri le case discografiche sono parte attiva, come soggetti produttori o co-produttori. Il caso di scuola è senza dubbio Bohemian Rhapsody (2018) che, con incassi da 903,7 milioni di dollari, si è imposto come il film musicale di maggior successo di sempre, a lode e gloria di santo Freddie Mercury e relativi Queen che per due quarti (Brian May e Roger Taylor) hanno pure co-prodotto l’opera. Un successo difficilmente pronosticabile alla vigilia che ha fatto da traino all’omonima colonna sonora, settimo album più venduto dell’anno con 1,2 milioni di copie a livello globale. Ottimo investimento per Fox ma anche Universal Music Group che ha in catalogo i Queen, insomma. Si è difeso bene pure Rocketman , biopic sulla vita di Elton John uscito quest’anno e premiato da incassi da 185,2 milioni di dollari. Anche stavolta operazione di Umg che, in occasione dell’uscita del film, ha esteso al merchandising il proprio accordo con l’artista.

È andato bene (111,5 milioni di dollari di ricavi) Yesterday, film non ancora uscito in Italia che immagina cosa potrebbe accadere a uno sfortunato cantante ritrovatosi, a seguito di un incidente, in un universo parallelo che non conosce i Beatles. Arriva poi Blinded by the light, opera di formazione su un giornalista di origine pachistana cui Bruce Springsteen cambiò la vita. C’è poco da fare: le vie di musica e cinema sembrano convergere più che mai. Fa comodo pure all’industria dell’audiovisivo, se consideriamo che la musica sullo schermo funziona. E per rilevare i diritti di una canzone - al netto degli accordi con le case discografiche - puoi spendere dai 10mila ai 10 milioni di dollari. Il tema resta il budget. Certo, un rockumentary ti costerà al massimo 5 milioni di dollari, mentre un colossal come Bohemian Rhapsody può arrivare fino a 50 milioni. Come diceva Elton John? Non dovresti mai prendere più di quello che dai.

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