Intervista.

Dai rider ai caporali, gli uomini dell’Arma che tutelano il lavoro

Al comando della task force dei Carabinieri contro lo sfruttamento: le informazioni dei comandi territoriali sono il vero valore aggiunto nell’attività di contrasto

di Stefano Elli

4' di lettura

L’indagine della procura della repubblica di Milano sui big four del delivery food, Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo ha portato sulle prime pagine dei giornali ciò che da tempo era sotto gli occhi di tutti: rider che, a Milano come altrove, tagliano strade, bruciano semafori, invadono marciapiedi, spesso sono vittime di incidenti. Sullo smartphone di uno di loro sono state catturate immagini whatsapp di radiografie con fratture multiple allegate a messaggi preoccupati inviati ai colleghi: «Devo guarire in fretta altrimenti mi cancellano dall’app». In tempi di Covid il fenomeno è esploso. La Procura ha voluto vederci chiaro. Si ipotizza il caporalato «digitale» come hanno tenuto a specificare il procuratore Francesco Greco, l’aggiunto Tiziana Siciliano e la pm Maura Ripamonti, visto che si opera con app e smartphone. Sono state comminate ammende per 733 milioni di euro. Le big four hanno scelto la via dei ricorsi “gerarchici” per opporsi alle sanzioni. Agli organi preposti spetterà ora la valutazione delle ragioni della procura e di quelle degli indagati. E forse l’indagine a qualcosa è servita, visto che nei giorni scorsi Cgil, Cisl, Uil e Assodelivery hanno sottoscritto un Protocollo Quadro Sperimentale per la legalità, contro il caporalato. La delega delle indagini è stata affidata dalla Procura ai Carabinieri del Comando tutela del Lavoro, 570 uomini in tutta Italia comandati dal Generale di Brigata Gerardo Iorio. Nella fattispecie, a Milano, le indagini le hanno svolte gli uomini del colonnello Antonino Bolognani, per sette anni al Nucleo investigativo di via Moscova.

Generale Iorio il vostro Comando è in prima linea sul fronte dei controlli sulle imprese in tempi di Covid. È di pochi giorni fa la notizia che a febbraio erano stati segnalati all’Inail 156.766 infortuni sul lavoro da Covid-19. Immagino non sia un lavoro semplice.

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Non lo è affatto. Noi, come tutta l’Arma, stiamo lavorando con un criterio di integrazione tra comparti di specialità, per esempio i Nas, e le articolazioni territoriali, Stazioni incluse. Lo facciamo anche in base all’articolo 55 del Dpcm del 2 marzo 2021 che, riprendendo il contenuto dei decreti precedenti, conferisce ai prefetti la facoltà di avvalersi, per gli aspetti attinenti alla sicurezza e alla salute sul lavoro, dell’Ispettorato e del Comando Carabinieri Tutela Lavoro. Un’attività che, come ha riconosciuto la stessa Inail, ha contribuito ad abbattere in modo sensibile il livello di contagio sul posto di lavoro.

Stime di Eurispes pre Covid-19 parlano di 540 miliardi di Pil sommerso e 25o di Pil criminale: cioè quasi la metà del Pil ufficiale del 2020. Questo ci dice che in Italia la componente in nero del lavoro non è residuale. Quali sono i settori più a rischio?

Non credo che si possa fare una classifica per settori così come non è agevole stilare una classifica su base geografica. Parlando di caporalato spesso si tende a ricondurre il fenomeno, per esempio all’agricoltura, riferendosi al Mezzogiorno. Esiti di attività investigative dimostrano però che il fenomeno esiste in Veneto e in Lombardia, nella provincia di Mantova, come pure alle porte di Milano. La stessa cosa vale per i settori coinvolti che sono praticamente tutti, dall’agricoltura, al terziario, all’edilizia. L’attività di contrasto al caporalato che svolgiamo come “comparto di specialità”, riguarda soprattutto i segmenti più qualificati dello sfruttamento del lavoro così come del “lavoro nero” e, quindi, del sommerso. Fondamentale importanza riveste il controllo del territorio e l’acquisizione di informazioni svolte dai comandi territoriali dell’Arma che costituiscono il vero valore aggiunto nell’attività di contrasto a questi fenomeni, resa ancor più efficace dal nostro contributo specialistico. Per quanto attiene ai controlli, anche in funzione anticovid, va detto che le attività ispettive che svolgiamo hanno un criterio preciso: le verifiche vengono effettuate sulla base di specifici indicatori. Questo proprio per evitare di incidere negativamente su un tessuto imprenditoriale che è oggettivamente sano e notevolmente condizionato dalle conseguenze delle pandemia.

Colonnello  Bolognani, da dove è nato lo spunto che ha portato all’inchiesta sui rider?

La genesi si può ricercare nell’attivazione della procura di Milano che ha chiesto l’intervento del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro per verificare lo status in cui versavano questi lavoratori. Il 29 maggio del 2020 tutta l’Arma nelle sue varie articolazioni, in quello che ritengo sia stato un esempio di integrazione operativa istituzionale, è stata coinvolta su tutto il territorio nazionale andando a verificare la situazione di 1039 rider in otto ore. Da quel controllo ci siamo resi conto che le condizioni di lavoro ipotizzate erano effettivamente quelle che hanno portato poi la procura ad assumere le iniziative conseguenti e a delegarci ulteriori indagini. Oltre a questo abbiamo proceduto alla verifica di 60mila posizioni lavorative. Da sottolineare anche come non ci siamo concentrati sulle città più grandi, ma siamo anche andati a verificare la situazione dei capoluoghi di provincia meno estesi.

È vero che ci sono più persone, più rider, che fanno riferimento al medesimo smartphone e alla medesima applicazione?

Ciò che è emerso è che, se un rider si trova ad avere dei periodi di inattività forzata, precipita nel suo ranking. E abbiamo verificato che in alcuni di questi casi le credenziali vengano cedute a terzi. Su questo come su altri temi sono in corso ulteriori approfondimenti investigativi. Ma mi lasci dire che è proprio il tema dello sfruttamento del lavoro attraverso le piattaforme, strettamente collegato a quello della digitalizzazione, che è al centro della nostra attività di indagine e di pianificazione.

Che va ben oltre le tipiche condotte di sfruttamento. Ma si spinge ad affrontare il complesso sistema delle piattaforme digitali che a sua volta coinvolge tutta una serie di figure e di attori che sono ben più qualificati, e che vanno ben oltre il conducente del furgoncino. Ed è proprio questo il tema che sta assorbendo i nostri sforzi organizzativi in questa fase.

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