Dal 2023 classi di laurea flessibili ed Erasmus tra atenei italiani
Tra marzo e aprile è attesa la bozza del decreto ministeriale sulla riforma delle classi di laurea prevista dal Pnrr
di Eu.B.
3' di lettura
La flessibilità e la diversificazione dell’offerta formativa universitaria solo solo il primo tempo di una partita più lunga. Che nasce dall’impulso messo nero su bianco nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di aumentare la l’interdisciplinarietà dei saperi e che sta per arricchirsi di un secondo tempo. Tra marzo e aprile, infatti, è attesa la bozza del decreto ministeriale sulla riforma delle classi di laurea che, subito dopo, inizierà l’iter dei pareri di rito (Cun, Crui, Parlamento). Così da consentire ai rettori interessati di poter avviare la sperimentazione sul campo delle novità già a partire dal prossimo anno accademico 2022/23. Due gli obiettivi prefissati: aumentare la trasversalità degli atenei nell’ideazione delle lauree e, di conseguenza, i margini di autonomia degli studenti nel confezionamento dei propri piani di studi; introdurre una mobilità tra gli atenei italiani sulla falsariga di quanto avviene con gli stranieri grazie al programma Erasmus+.
Più flessibilità per atenei e studenti
Il restyling parte da lontano. Dal Dm 270/2004 che disciplina l’autonomia didattica delle università e che rappresenta uno degli ultimi tasselli antecedenti alla riforma Gelmini del 2010 ancora in piedi. Un motivo in più per rimetterci mano come del resto prevede di fare il Pnrr. A spiegare il senso dell’intervento sulle classi di laurea è stata di recente la ministra Cristina Messa durante un’audizione in commissione. A proposito della riforma - ha sottolineato - «devono essere resi meno stringenti i vincoli sui programmi di studi, consentendo l’inserimento di insegnamenti e attività ulteriori vertenti su settori disciplinari maggiormente diversificati». Come? Rimuovendo «parte dei vincoli nella definizione dei crediti formativi da assegnare ai diversi ambiti disciplinari, per consentire la costruzione di ordinamenti didattici che rafforzino le competenze multidisciplinari, sulle tecnologie digitali ed in campo ambientale oltre alla costruzione di soft skills».
La commissione al lavoro
Alla bozza del nuovo decreto sta lavorando una commissione presieduta dall’ex rettore di Bergamo (già presidente Crui), Stefano Paleari, e composta inoltre da Giovanni Betta (università di Cassino), Rita Maria Antonietta Mastrullo (Federico II Napoli) e Giusella Dolores Finocchiaro (Alma mater Bologna). Le direttrici lungo le quali i tecnici si stanno muovendo sarebbero sostanzialmente due. Da un lato, verrebbero aumentati i margini di flessibilità per gli atenei attualmente previsti dal Dm 270/2004 rispetto al numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici riservano ad ogni attività formativa e ad ogni ambito disciplinare, oggi pari al 50% per i corsi triennali e al 40% magistrali. L’idea sarebbe quella di abbassare entrambe le soglie. Contestualmente, si punterebbe ad accrescere i margini di manovra del singolo studente nel personalizzare il proprio piano di studi.
L’Erasmus tra atenei italiani
Di portata ancora più innovativa per gli iscritti è l’altra modifica allo studio. Che punterebbe a una sorta di Erasmus tra atenei italiani. Perché non consentire, ad esempio, all’allievo che si sta laureando in Ingegneria a Napoli di conseguire dei crediti anche al Politecnico di Milano o Torino? Sulla base di una convenzione tra le università coinvolte, sulla falsariga di quanto avviene oggi per i programmi di mobilità studentesca tra Paesi diversi dell’Unione europea e non solo.
Ma una riflessione in corso ci sarebbe, più in generale, sui settori scientifico-disciplinari che governano gli ordinamenti didattici. Attualmente se ne contano 370 mentre i settori concorsuali, che regolano invece le assunzioni, sono 190. Una discrepanza che già di per sé, è la tesi del ministero, richiede una semplificazione.
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