Dal cognome alle separazioni, i diritti conquistati dalle mamme italiane
La decisione della Consulta sull’attribuzione del cognome ai figli e la sentenza della Cassazione sull’alienazione parentale aprono al riconoscimento di una maggiore parità tra i genitori
di Monica D'Ascenzo
I punti chiave
3' di lettura
«La Costituzione italiana è molto avanti rispetto ai temi della parità, perché riconosce la parità uomo-donna, la parità nella famiglia, la parità sul lavoro. Altra cosa è stata l’attuazione attraverso le leggi, la politica, le interpretazioni e le decisioni dei giudici. In questa direzione c’è ancora molta strada da fare perché la società italiana resta per molti aspetti patriarcale». Marilisa D’Amico, ordinaria di diritto costituzionale e prorettrice dell’università Statale di Milano, crede fermamente che nel testo della Costituzione ci siano tutti i principi in grado di garantire una parità dei diritti delle donne e delle mamme e per questo motivo accoglie positivamente le ultime sentenze della Consulta sul cognome materno e della Corte di Cassazione sull’allontanamento del figlio dalla madre: «Si tratta di sentenze importanti perché vanno nella direzione dei principi della Costituzione»
Il cognome materno
Una condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo (2014) e una sentenza della Corte costituzionale (2016) non hanno spinto negli ultimi anni il Parlamento a licenziare una legge sull’assegnazione del cognome ai figli. Ora la decisione della Consulta comunicata lo scorso 27 aprile ha definito «discriminatoria e lesiva dell'identità del figlio» la regola in base alla quale gli viene assegnato automaticamente il cognome del padre. «Il matrimonio è fondato sulla parità morale e giuridica dei coniugi. L’assegnazione del cognome materno restava, invece, ancora il simbolo di una società patriarcale. Per le donne si tratta, quindi, di una grande conquista perché finalmente nel cognome del figlio viene riconosciuta la parità tra mamma e papà» sottolinea D’Amico, precisando poi: «È ora necessario attendere le motivazioni per comprendere come verrà concretizzata la sentenza ad esempio sull’ordine dei cognomi, sulla decisione di volta in volta dei genitori o sui figli già nati».
Soddisfazione anche dalla società civile. «Una decisione della Corte costituzionale che ha posto fine alla troppo lunga e inutile attesa di una riforma organica del cognome» sottolinea Rosanna Oliva de Conciliis , giurista e attivista, conosciuta per aver vinto nel 1960 il ricorso presso la Consulta, dopo il rifiuto, in quanto donna, del ministero dell’Interno di ammetterla al concorso per la carriera prefettizia. La sentenza a suo favore fu una decisione storica, in quanto aprì i concorsi pubblici anche alle donne. Oliva, classe 1934, ancor oggi è in prima linea per i diritti delle donne come presidente della Rete per la Parità: «L'iniziativa del Governo è ora indispensabile anche per facilitare il compito del Parlamento che finora è rimasto inerte a seguito di posizioni contrapposte. È necessario prevedere nuove modalità di presentazione delle denunce di nascita e predisporre l'uso di appositi moduli per facilitare gli adempimenti di competenza dei tanti uffici che hanno il compito di raccogliere le denunce di nascita».
L’allontanamento dei minori
Il richiamo alla sindrome di alienazione parentale, non può essere il fondamento pseudoscientifico per giustificare la decadenza della potestà genitoriale. Partendo da questo presupposto la Cassazione ha accolto il ricorso presentato da Laura Massaro e dai suoi legali dell'Associazione Differenza Donna. Una sentenza importante perché si definisce come priva di qualsiasi fondamento scientifico una tesi che troppo spesso compariva nelle decisioni dei giudici. «In questa decisione la Cassazione autorevolmente definisce come priva di qualsiasi fondamento scientifico l’alienazione parentale che ha determinato in molti casi di separazione l’allontanamento dei figli dalle madri» sottolinea D’Amico.
E i dati sui casi di allontanamento vengono forniti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente . «Ancora oggi, come si vede nei processi di separazione e affido minori o in quelli relativi alla responsabilità genitoriale, come dimostra la nostra ultima indagine che presenteremo venerdì con Giuliano Amato e Marta Cartabia, resiste in troppi casi una lettura profondamente stereotipata e piena di pregiudizi verso la relazione uomo donna» sottolinea Valente, che conclude: «Così alla donna si fa fatica a credere ritenendola spesso provocatrice, seduttrice, manipolatrice, mentre all'uomo vengono riconosciuti diritti e una sorta di resistente patria potestà, in ragione della quale si è disponibili a giustificare o a derubricare anche gesti violenti o una cultura della sopraffazione e del dominio».
loading...