Dal Noma all'Oro: quando la cucina di ricerca sposa il gusto italiano
Dopo anni a fianco del visionario René Redzepi, sbarca in Laguna Riccardo Canella per guidare un ristorante gourmet dove ogni piatto promette un'emozione.
di Fernanda Roggero
4' di lettura
«Il futuro è la padella». Sentirlo dire da chi per anni è stato responsabile della test kitchen del ristorante più avanguardistico del mondo fa un certo effetto. Riccardo Canella, 37 anni, padovano, per sei anni ha vissuto “al” e “per” il Noma. Ha condiviso con il visionario René Redzepi suggestioni, sperimentazioni ardite, tecniche sofisticate e innovazione spinta. Oggi è a Venezia a guidare tutta l'offerta gastronomica del Cipriani, A Belmond Hotel, l'iconico albergo della Giudecca adorato dalle star hollywoodiane (e non solo). Ha idee ben chiare su quello che intende fare e, anche se non lo esplicita, spera d'ora in poi di essere solo Riccardo, non Canella, quello del Noma.
Martedì 26 luglio riapre ufficialmente Oro, il ristorante gourmet dell'albergo e gli occhi di tutti gli addetti ai lavori sono puntati sulla cucina di questo giovane talentuoso (perché in Italia si può essere considerati promesse fino ai quaranta).
Il futuro è la padella significa riconnettersi al gesto del cuoco, cucinare per gli altri. «Il piatto deve trasmettere emozioni - spiega nel corso di una bella e lunga chiacchierata - deve essere frutto di un pensiero, avere profondità, non è un semplice esercizio di stile». Le tecniche hanno una loro importanza ma vanno gestite, non bisogna divenirne schiavi. «Massimiliano Alajmo diceva sempre che la tecnica è una farina difficile da digerire».
Canella ha imparato a sfruttarla al punto giusto. Entrato nelle cucine adolescente, ha sempre coltivato in parallelo una grande passione per la musica. Suonava la batteria e ancora oggi tamburella su ogni superficie gli venga a tiro. “Ci sono molte similitudini tra musica e cucina - racconta - per entrambe serve un talento ma non basta. Bisogna studiare, studiare, studiare, per poi svuotarsi la testa e improvvisare”.
Questo è uno dei grandi insegnamenti ricevuti a Copenhagen. «Mi è rimasta la mentalità, l'approccio: vedere delle possibilità dove non ci sono, superarsi, pensare in maniera alternativa. René era un grande direttore d'orchestra, un visionario alla Steve Jobs. Veniva da noi con un'idea, come Jobs poteva andare da un programmatore e chiedere di realizzare quel che aveva in testa: è impossibile da fare? Allora fallo. È lì che la tua mente si spinge oltre. Al Noma si viveva costantemente sotto adrenalina sembrava sempre di essere in una finale di Champion's League».
Qui in laguna non sottopone i suoi ragazzi a un simile stress ma chiede loro di sviluppare una sensibilità non comune. Bisogna saper improvvisare e allo stesso tempo mantenere lucidità, essere focalizzati. «I ragazzi oggi fanno fatica a tenere sotto controllo più cose contemporaneamente». Essenziale, per il cuoco padovano, che imparino a leggere la materia prima. «In cucina non uso timer, devono capire da soli quando è il momento giusto. E sempre a proposito di padelle - racconta - l'altro giorno ho chiesto al mio secondo di cucinare uno dei nostri main dish, lo scampo. Lo aveva poggiato su una padella ancora troppo fredda e si è leggermente lessato, non sarebbe più stato possibile cuocerlo alla perfezione: sembrerà paradossale ma in questo mestiere tre secondi o dieci gradi possono fare la differenza». L'unica strada è provare e riprovare fino a raggiungere la capacità di sentire quando la padella è alla giusta temperatura. Insomma la buona, vecchia, sana gavetta. «Quando ero al Noma potevo lavorare fino a venti ore al giorno, ma ora le cose sono cambiate, in meglio naturalmente, e nelle cucine non si respirano più atmosfere militaresche». Resta il fatto che l'esperienza te la devi costruire. Poco più che stagista a Canella venne data da Redzepi la responsabilità di un piatto, una seppia cruda in dashi di rosa. Quando era al pop-up di Noma a Tokyo, di seppie ne puliva 60 chili al giorno (non è un refuso, proprio 60 chili).
E dunque come sarà la cucina di Oro? «Se devo proprio definirla - risponde - sarà una nuova cucina italiana, una cucina di prodotto, legata alla tradizione, che va rispettata, ma proiettata in avanti. Io penso che si possa fare avanguardia anche con prezzemolo e aglio». Canella è un cuoco-cuoco, sta ai fornelli, sente l'urgenza di cucinare. In questi mesi in laguna, mentre si preparava ad aprire Oro, è andato alla ricerca di artigiani e fornitori locali. Collabora con una serigrafia del posto che ha creato il menu in carta mano, tutti i piatti sono stato realizzati in ceramica da una ragazza veneziana che ha aperto un laboratorio a Mestre dopo otto anni spesi a Londra. Il pesce, su cui Canella ha un'attenzione maniacale, viene procurato da un fornitore che ogni notte percorre la litoranea adriatica fino a Civitanova Marche per approvvigionarsi in otto diversi mercati. Gli ortaggi e le erbe vengono dagli orti della laguna, molte sono anche coltivate nei giardini del Cipriani. Il fidato Franco Pasqualin, padovano 80enne, procura primizie e tartufi.
Il ristorante - per ora solo quattro tavoli - propone due menu degustazione, Divenire e Vegetum, con possibilità di abbinamento vini (per nulla scontati) affidato al sommelier appena approdato a Venezia da Zuma London. Oltre ad alcuni divertissement - gustosissimi - come la Pollen/ta che si aspira da una cannuccia realizzata con una sottilissima zucchina o lo Smascherato, un cracker di alga e miso di polenta ricoperto di fiori a forma di mascherina, restano nella memoria i mesmerici Ravioli di Murano ripieni di trippa di merluzzo, il famoso scampo, Bronsa Querta, e un Riso alloro e zafferano in abbinamento scenografico con uno Chateau d'Yquem 2018 servito da Jeroboam. Molto interessante la proposta vegetale, con un intrigante Veniceviche e una Caprese di cuore (di bue). Standing ovation anche dai più incorreggibili appassionati di dolce-dolce per il gelato di asperula (ostrica, panna al blu di capra e olio al dragoncello).
Perché al ristorante dalla caratteristica forma tonda è stato mantenuto il nome precedente, Oro? «Perchè ha un'etimologia bellissima, riporta alla “bocca” latina, richiama l'Oriente, così come la preghiera. Ed è legato alla storia di Venezia, città inclusiva e cosmopolita, sempre un passo avanti. Qui già nel Cinquecento nei banchetti dei dogi si metteva l'oro sulle ostriche…».
loading...