Dal Russiagate al caso Siri: i nodi giudiziari che pesano sul governo
Due inchieste che pesano sulla tenuta dell’esecutivo. Oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte indosserà i panni del garante delle istituzioni al Senato, dove si discuterà della presunta tangente da 65 milioni di euro della Russia. Intanto i pm di Milano sono a un «punto di svolta». Giovedì l’incidente probatorio sull’ex sottosegretario Siri
di Ivan Cimmarusti
3' di lettura
Le presunte ingerenze della Russia saranno il tema bollente della discussione di oggi al Senato, in cui il premier Giuseppe Conte indosserà i panni del garante delle istituzioni. La Lega sembra aver incastrato il governo nel Russiagate, cui ora si aggiunge il caso dell’ex sottosegretario Armando Siri. Due procedimenti che rischiano di far traballare ulteriormente la tenuta dell’esecutivo “gialloverde”. I fari sono puntati su quello che accadrà oggi a Palazzo Madama.
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La posizione del premier Conte
Per il vice premier Matteo Salvini la linea resta la medesima: il caso Savoini non esiste. Smentisce le accuse emerse dall’ormai famosa registrazione del 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol, in cui Gianluca Savoini, l’avvocato Gianluca Meranda e il bancario Francesco Vanucci, discussero con esponenti – è l’ipotesi – della Russia di Vladimir Putin di una presunta tangente da 65 milioni di euro. Al leader del Carroccio, però, interessa soprattutto cosa dirà il premier Conte. D’altronde il presidente del Consiglio nei giorni scorsi aveva chiesto chiarimenti sul caso Russiagate. Uno degli aspetti che potrebbe emergere sono le sospette ingerenze della Russia sulla politica italiana.
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Russiagate a un punto di svolta
Ieri intanto si sono svolti una serie di colloqui e incontri in Procura a Milano. Pm e investigatori della Gdf hanno fatto il punto sull’inchiesta per corruzione internazionale su presunti fondi russi alla Lega e con al centro l’ormai noto incontro all’hotel Metropol di Mosca. Indagini che, stando a fonti qualificate, sono arrivate ad un «punto interessante» anche grazie alle «tracce significative», trovate a seguito delle perquisizioni dei giorni scorsi, sulla presunta trattativa che doveva servire a concludere un affare sul petrolio e a garantire poi, attraverso uno sconto sulla compravendita, soldi alla Lega, ma anche tangenti a funzionari russi. Un presunto accordo che, stando a fonti vicine all’inchiesta, avrebbe intrecciato, da un lato, personaggi importanti e, dall’altro, persone a caccia di soldi facili anche perché in difficoltà economiche.
L’inchiesta Siri
L’inchiesta Russiagate non è l’unica a sollevare presunte ombre nei rapporti internazionali della Lega. C’è il caso della presunta corruzione di Armando Siri a far emergere altri aspetti. I dettagli contenuti nell’inchiesta se da una parte preoccupano il Carroccio, dall’altra fanno gongolare i pentastellati che si appuntano al petto, come una medaglia, gli insulti pronunciati dall’imprenditore Paolo Arata. «Mettiamola così: se difendere il Paese e le sue istituzioni da mafie, corruzione e malaffare significa “essere rompicoglioni”, beh, il MoVimento 5 Stelle è fiero di esserlo», si legge in un post del Blog delle Stelle rilanciato dal vicepremier Luigi Di Maio, che agli alleati di governo dice: «Non ho ragione di dubitare di Salvini», ma sulla vicenda Siri-Arata «serve chiarezza».
Secondo i pm l’ex sottosegretario sarebbe stato corrotto con 30mila da Paolo Franco Arata per influire sulle scelte di politica energetica del governo. L’ipotesi dei magistrati è che Arata abbia portato «in dote» i suoi rapporti con la Lega all’imprenditore Vito Nicastri, suo socio d’affari e ritenuto uno dei finanziatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Secondo i magistrati, inoltre, Arata sarebbe stato il principale sponsor di Siri per la sua nomina a sottosegretario.
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I rapporti con gli Usa
A maggio 2018, sono giorni frenetici per la formazione del nuovo governo “gialloverde”. Armando Siri si rivolge a Paolo Franco Arata per ottenere una nomina nell’esecutivo. Il 17 maggio Federico Arata chiama il padre Paolo, «dicendogli senza mezzi termini che Armando Siri lo aveva chiamato poco prima chiedendogli di contattare l'ambasciatore Usa in Italia (verosimilmente Lewis Michael Eisenberg) affinché costui intervenisse sul presidente Mattarella per “sponsorizzarlo” per un incarico di governo». In questo contesto entrano in campo Bannon e il cardinale Burke. Tuttavia qualcosa non va per il verso giusto. Tre giorni dopo, il 20 maggio, Siri chiama Arata: «C’è una resistenza da parte di Mattarella, quindi questo vuol dire che i nostri amici (gli americani) non hanno fatto niente perché figurati se Mattarella fa resistenza se arriva un input da quelle persone di cui abbiamo parlato». Aggiunge Siri che «so per certo è che se arrivasse da quelle persone che io ho detto l’altra volta un segnale forte, al Quirinale sicuramente non ci sarebbero problemi, poi non capisco perché». Dalla presidenza della Repubblica hanno smentito ogni ricostruzione.
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