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Dal Russkiy Parmesan al Parmesano di Colombia, l’Italia alla guerra dei finti marchi

Alla seconda giornata di Cibus l’annuncio della vittoria del Consorzio del Parmigiano contro le copie sudamericane

di Micaela Cappellini

3' di lettura

La vittoria del Parmigiano Reggiano arriva proprio durante la seconda giornata dell’edizione 2023 di Cibus ed è festa, allo stand del consorzio: dal Sudamerica è appena giunta la notizia che è stato fermato il sesto tentativo del gruppo Alpina di registrare il marchio “Parmesano” in Colombia. Con la decisione 12177/2023 la Sovrintendenza all'industria e al commercio non solo ha negato la registrazione del marchio “Alpina Parmesano Snack”, ma soprattutto ha emesso un importante provvedimento per la tutela delle Indicazioni geografiche nel paese latino-americano sulla base del concetto di Denominazione d'origine protetta. Merito dell’accordo di libero scambio concluso dalla Ue con Colombia, Perù ed Ecuador, dicono dal Consorzio, che ha consentito di riconoscere la protezione della Dop Parmigiano Reggiano nei paesi andini.

La Sovrintendenza ha ritenuto che la protezione delle Dop sia sufficientemente ampia da far sì che l'impedimento alla registrazione non si limiti alla semplice riproduzione letterale del loro nome, ma anche a qualsiasi tipo di imitazione, anche solo evocativa. È stato inoltre stabilito che il marchio in questione fosse potenzialmente ingannevole poiché, a causa della fama del Parmigiano Reggiano sul mercato alimentare, l'inserimento della parola “Parmesano” potrebbe indurre in errore i consumatori sull'origine e sulle caratteristiche del prodotto di Alpina. «È stato dunque fermato l'ennesimo tentativo di approfittare indebitamente della notorietà, della qualità e delle caratteristiche di eccellenza della Dop più amata e più premiata al mondo - commenta il Consorzio - che può essere prodotta esclusivamente nella sua zona d'origine, che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po e Bologna alla sinistra del fiume Reno».

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Il Consorzio stima che il giro d'affari del falso Parmesan fuori dall'Unione europea sia di 2 miliardi di euro, circa 200mila tonnellate di prodotto, ossia oltre 3 volte il volume del Parmigiano Reggiano esportato. Tra i Paesi in cui il Parmigiano è copiato c’è la Russia: il Russkiy Parmesan, racconta la Coldiretti, viene prodotto nel territorio di Stavropol e sul sito dei produttori si dice che «è un’alternativa al Parmigiano Reggiano, fatta con latte pastorizzato maturato 12 mesi». Ai falsi made in Russia proprio stamattina a Cibus la confederazione degli agricoltori dedica una vera e propria mostra: accanto al parmigiano, nella sezione formaggi ci sono il Montasio, il Pecorino, la mozzarella, la ricotta, il mascarpone e la robiola, tutti rigorosamente non autorizzati. Nella collezione dell’Italian sounding in salsa russa la Coldiretti espone anche diversi tipi di salame Milano, un’ insalata toscana, confezioni di “Buona Italia” e di pizza “Sono Bello Quattro formaggi”.

Prima ancora della guerra in Ucraina, già con l’embargo imposto dalla Ue nel 2014 per l’annessione della Crimea, in Russia si è diffusa una fiorente produzione di imitazioni del made in Italy a tavola che hanno sostituito le esportazioni tricolori con un costo per il nostro Paese, stima la Coldiretti, di 250 milioni di euro all'anno. «In molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di imitazione dei formaggi e salumi italiani per sostituire quello originali - denuncia l’associazione - si tratta di impianti per la lavorazione del latte e della carne per coprire la richiesta di formaggi duri e molli così come di salumi che un tempo era soddisfatta dalle aziende agroalimentari italiane». Il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari, Soyuzmoloko, ha stimato che la produzione di formaggio russo è quadruplicata raggiungendo i 47 miliardi di rubli (600 milioni di dollari), di cui una fetta è rappresentata dai prodotti simil italiani.

Secondo la Coldiretti, oggi il valore della contraffazione alimentare del Made in Italy nel mondo ammonta a 120 miliardi, con il risultato che oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre non hanno alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese. «Con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale - sostiene il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini - si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia».


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