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Dal sindaco d’Italia al referendum, le parole chiave del confronto sulle riforme

Sia il Pd sia il M5s si sono presentati al tavolo imbastito da Giorgia Meloni con molti paletti: no al presidenzialismo, no all'elezione diretta e sì solo a piccoli interventi per rafforzare i poteri del premier e dare maggiore stabilità ai governi. Schlein ha aperto alla sfiducia costruttiva ma è tiepida sull’ipotesi bicamerale rilanciata da Conte e non bocciata da Meloni

di Andrea Gagliardi

4' di lettura

Il confronto tra governo e opposizioni parte in salita. Nella maggioranza emergono evidenti forti differenze tra falchi e colombe: una spaccatura non tanto sul modello da adottare, quanto sulla strategia da intraprendere per raggiungere il risultato finale. Oltre che in Fratelli d’Italia, anche nella Lega c’è chi ritiene che, pur di ottenere il presidenzialismo, si possa andare avanti da soli, forzando i veti di chi non ci sta, mentre Forza Italia auspica che si trovi un’intesa bipartisan su un testo il più condiviso possibile. «Per l'Italia il premierato potrebbe essere una soluzione, la vedo più gradita tra le forze politiche», così si è espresso di recente il coordinatore del partito Antonio Tajani.

Ma anche la premier, al di là delle dichiarazioni ufficiali si sarebbe convinta che «l’elezione diretta del premier assicura stabilità al governo: è questa la più potente riforma economica che possiamo realizzare. E’ una nostra priorità e formuleremo una nostra proposta. Spero in una condivisione ampia, che vada oltre la maggioranza ma non a costo di venir meno all’impegno assunto con i cittadini»

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I paletti di Pd e M5s allontanano l'ipotesi di un accordo largo

La storia dei tentativi di riformare la Costituzione dagli anni Novanta ad oggi dimostra che se ci fosse reale volontà di dialogo da parte della maggioranza e delle opposizioni un punto di caduta si potrebbe trovare senza difficoltà. Sia il Pd sia il M5s, però, si sono presentati al tavolo imbastito da Giorgia Meloni con molti paletti: no al presidenzialismo, no all'elezione diretta e sì solo a piccoli interventi per rafforzare i poteri del premier e dare maggiore stabilità ai governi. Il Pd è favorevole, invece, a un rafforzamento dei poteri del premier sotto la forma del cancellierato alla tedesca («si può ragionare della sfiducia costruttiva» - ha detto la leader dem Elly Schlein). Il clima politico non sembra favorire insomma il dialogo bipartisan su una riscrittura così importante della Costituzione.

Ipotesi Bicamerale

Il che potrebbe consigliare di seguire la strada di una Bicamerale (l’alternativa è presentare un testo di legge in parlamento, ndr) per isolare la materia riformatrice dallo scontro quotidiano in Aula sugli altri provvedimenti, come suggerisce il costituzionalista dem Ceccanti. Un’ipotesi rilancia ieri dal leader M5s Giuseppe Conte: «Siamo disponibili per quanto riguarda il metodo al dialogo in una commissione parlamentare costituita ad hoc, raccomandiamo questo percorso» ha detto. Una suggestione accarezzata anche da Meloni («Valuteremo. Credo si possa dialogare su tutto purché non ci siano intenti dilatori»). Più fredda sul punto la Schlein: «Lo strumento del confronto saranno loro a stabilirlo. A noi più che lo strumento ci interessa la qualità e il perimetro del confronto.»


Terzo Polo cerca intesa sul sindaco d’Italia

Confermata invece l'apertura del terzo Polo. La disponibilità al dialogo passa per i dettagli di merito: l’elezione diretta del premier sul modello del sindaco d'Italia e il superamento del bicameralismo. Si tratta di una variante che punta a importare le regole vigenti per comuni e regioni: è l’elezione diretta del vertice dell’Esecutivo con tanto di scioglimento automatico delle Camere in caso di sfiducia o dimissioni. Ma di premierato ci sono forme diverse, come quella proposta dalla Tesi 1 dell’Ulivo del 1996 che prevede un’indicazione del premier sulla scheda elettorale in luogo di un’elezione diretta. Disponibilità a collaborare, dunque, da parte del Terzo Polo. Ma con un inderogabile paletto: «Per noi c'è una linea rossa assoluta, la figura di garanzia, di unità nazionale, sulla Costituzione, del presidente della Repubblica non si tocca», sostiene il leader del Terzo Polo Carlo Calenda.

Il nodo del referendum

Al di là delle sfumature dialettiche, la maggioranza si trova davanti a un bivio: c’è chi punta al blitz, all’approvazione di un testo a colpi di maggioranza, e chi invece vorrebbe raggiungere un accordo ampio, vedendo chiari i possibili rischi politici di un muro contro muro sulle modifiche costituzionali. Due impostazioni diverse che partono da due modi opposti di prevedere l’esito del referendum confermativo. I fautori della prova di forza sono convinti di poter vincere a mani basse una consultazione popolare a favore di un cambio di regole sulla forma di governo che il Paese attende da decenni. Di contro, i sostenitori della linea prudente, memori dell’esperienza vissuta da Matteo Renzi, sembrano più pessimisti, e temono che una sconfitta al referendum possa rappresentare uno scoglio contro cui potrebbe infrangersi il governo e la maggioranza che lo sostiene.

Quando scatterebbe il referendum

Il referendum scatterebbe qualora non venisse ottenuta la maggioranza dei due terzi nella seconda delle votazioni in ciascuna Camera. Una maggioranza, che, del resto, a conti fatti, è piuttosto complicata da raggiungere e si attesta a 267 deputati e 137 senatori (nel computo vanno inseriti anche i senatori a vita). Attualmente a Palazzo Madama, per arrivare a quella soglia alla maggioranza mancano ben 21 voti.

I numeri al Senato

Il centrodestra può contare, infatti, su 116 senatori: 63 di FdI, 29 della Lega, 18 di FI e 6 di Noi Moderati. Non è da escludere che si possano aggiungere i 5 senatori delle Autonomie (che si astennero sulla fiducia al governo Meloni e che hanno fatto qualche apertura sul modello del premierato). Se il gruppo di Azione-Italia Viva, composto da 10 senatori, nel suo complesso decidesse di sostenere le riforme si arriverebbe, così, a quota 131 e, dunque, a 6 voti da quota 137. Da capire quali scelte faranno i 6 senatori a vita.

E quelli alla Camera

Ancora più complessa la partita dei numeri alla Camera. Per quanto riguarda Montecitorio, infatti, la maggioranza conta su 118 deputati di FdI, 66 della Lega, 44 di Forza Italia e 10 di Noi Moderati: in totale si tratta di 238 voti certi. A questi si potrebbero aggiungere i 4 delle Minoranze linguistiche e si arriva, così, a 242. Anche in questo caso l’eventuale apporto del gruppo di Azione-Italia Viva alla Camera, che è di 21 componenti, non sarebbe comunque sufficiente ad arrivare ai due terzi dei deputati: ci si fermerebbe infatti a 263.



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