Dal 1° novembre

Stop blocco licenziamenti: cosa succede dal terziario al tessile

Dal 1° novembre termina il divieto in vigore da febbraio 2020 anche per terziario, piccole imprese, artigianato, tessile, abbigliamento e pelletteria.

di Giorgio Pogliotti

Lavoro: Landini, "Pd condivida proposta proroga blocco licenziamenti"

2' di lettura

Il 31 ottobre finisce il blocco dei licenziamenti anche per il terziario, le piccole imprese, l’artigianato e tre comparti dell’industria, ovvero il tessile, l’abbigliamento e la pelletteria. Il divieto, in vigore dal febbraio del 2020, come misura emergenziale messa in campo per attutire l’impatto sociale del Covid , interessa i licenziamenti collettivi o la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo.
Per i 4 milioni di lavoratori assunti a tempo indeterminato nell’edilizia e della manifattura il blocco era già finito lo scorso 30 giugno, ma non si è avuto alcun rilevante impatto sull’andamento delle cessazioni.

Niente licenziamenti per chi usa la cassa Covid prorogata

La fine del blocco è stata accompagnata dalla decisione del governo di prorogare nel decreto legge fiscale la cassa integrazione Covid (scontata dei contributi addizionali) da usare nel periodo compreso tra il 1 ottobre e il 31 dicembre: per un massimo di 13 settimane per le piccole imprese del terziario, commercio, artigiani, giornalisti (a condizione che abbiano esaurito le 28 settimane della precedente proroga), per un massimo di 9 settimane per tessile-abbigliamento-pelletteria (se hanno esaurito le 17 settimane precedenti).
I datori di lavoro mentre usano la cassa Covid non possono licenziare, a meno di accordi collettivi raggiunti con i sindacati maggiormente rappresentativi sugli esodi incentivati, cessazione definitiva d'attività d’impresa o messa in liquidazione.

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L’impatto della fine del blocco del 30 giugno

Per valutare l’impatto che la fine del blocco dei licenziamenti ha avuto su edilizia e industria, si possono consultare i dati delle comunicazioni obbligatorie. Secondo l’osservatorio Banca d'Italia-Ministero del Lavoro «il numero delle cessazioni è rimasto modesto» nei due settori.
Come è terminato il divieto di licenziare, a luglio si stima che siano stati sbloccati circa 10mila licenziamenti, una cifra che è ai livelli medi del 2019. Ad agosto, poi, i licenziamenti si sono attestati «su valori estremamente contenuti», grazie alla «ripresa ciclica dell'economia e alla conferma delle condizioni favorevoli d'accesso alla cassa integrazione».
A questo proposito va ricordato che lo scorso 29 giugno un avviso comune è stato sottoscritto, sotto la regia del premier Mario Draghi e del ministro del Lavoro Andrea Orlando, dai sindacati, Confindustria, Alleanza delle Cooperative e Confapi con l’impegno a «raccomandare l'utilizzo degli ammortizzatori sociali in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro».

Penalizzati i contratti precari

Il blocco dei licenziamenti ha protetto i lavoratori assunti a tempo indeterminato, ma ha avuto un impatto negativo sui lavoratori a tempo determinato e con contratti di collaborazione che, alla scadenza, non sono stati rinnovati.
I più penalizzati sono stati i giovani e le donne, i due soggetti più deboli del mercato del lavoro, che con maggiore frequenza hanno contratti temporanei. Inoltre è stato ostacolato il turn-over nelle aziende, anche questo a scapito dei più giovani.

I sindacati: serve un blocco generalizzato

I sindacati criticano la norma che sostanzialmente lega il divieto di licenziare alla scelta dell’utilizzo della cassa da parte delle imprese, e premono per ripristinare un blocco generalizzato dei licenziamenti, finché non sarà pronta la riforma degli ammortizzatori sociali che viaggia con i tempi della legge di Bilancio (dunque sarà operativa nelle migliori delle ipotesi dal 1° gennaio 2022).

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