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Dal tonno ai meloni, le aziende alimentari italiane puntano sull’Africa

Tra gli altri i casi Airone Seafood in Costa d’Avorio, Frutta Italia in Senegal, i fagioli Pedon in Etiopia e l’ittica Rizzoli Emanuelli in Tunisia. Bonifiche Ferraresi è appena entrata in Algeria dove produrrà grano duro con un operatore locale

di Manuela Soressi

Senegal.Le coltivazioni di meloni Francescon

3' di lettura

Passano (anche) dall’Africa il rafforzamento e la crescita del settore agroalimentare italiano. Sono sempre più numerose, infatti, le aziende che puntano sul continente africano per aumentare non solo le vendite ma anche e soprattutto la produzione. A spingerle a investire più che in passato è la ricerca di una risposta alle crisi internazionali, a partire da quella ucraina, che hanno sconquassato il mercato delle materie prime. Un’esigenza che si innesta sulle potenzialità di questo continente popoloso (3 miliardi di abitanti), giovane (il 50% della popolazione ha meno di 20 anni) e in rapida evoluzione, con un Pil che è raddoppiato nell’arco di 15 anni.

Dietro la crescita degli investimenti, non c'è solo il business: c'è anche la necessità di sviluppare un «partenariato equo, basato su obiettivi di crescita condivisi e su benefici reciproci», come ha sottolineato il ministro degli Esteri Antonio Tajani in occasione della Giornata dell’Africa, in cui ha lanciato il “Piano Mattei”, finalizzato a sostenere settori strategici per l’Italia, tra cui l’agroindustria.

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«Le imprese devono guardare all’Africa come opportunità, dove l’Italia può giocare un ruolo da protagonista, investendo sul capitale umano e contribuendo alla crescita della società», afferma Sergio Tommasini, amministratore delegato di Airone Seafood, presente in Costa d’Avorio dal 1994. Tra lo stabilimento di trasformazione e l’hub commerciale di Abidjan, l’azienda emiliana (66 milioni di euro di fatturato 2022) dà lavoro a 1.700 addetti (per il 70% donne) e produce ogni anno 150 milioni di confezioni di tonno in scatola, per il 65% destinati al mercato italiano in particolare alle private label della Gdo. Arrivano nella distribuzione moderna in Italia e all’estero i meloni e le angurie coltivati in Senegal su 300 ettari strappati al deserto.

«Dopo un’esperienza in partnership, abbiamo deciso di proseguire in modo autonomo costituendo la società di diritto senegalese Frutta Italia Sa, che impiega per il 99% personale locale», spiega il proprietario unico Daniele Francescon. I frutti rispondenti agli standard europei vengono esportati in Italia consentendo alla Gdo di avere meloni freschi anche da febbraio a maggio, anticipando così il raccolto italiano.

Tante altre aziende stanno seguendo lo stesso percorso di Francescon. La veneta Pedon coltiva fagioli in Etiopia, mentre la start-up Sweet Africa coltiva e lavora in Kenya frutta tropicale secca ed essiccata destinata alla distribuzione moderna italiana. E ancora: Rizzoli Emanuelli sta costruendo uno stabilimento ittico in Tunisia, mentre il Gruppo BF (holding di Bonifiche Ferraresi) – già presente in Ghana, Egitto, Tunisia, Congo e Angola – è appena entrato in Algeria, ottenendo dal governo 900 ettari di terreni in concessione dove produrrà grano duro in partnership con un operatore locale. «Abbiamo dato il via ai progetti sul territorio algerino, creando le basi di una duratura e proficua presenza che intendiamo sviluppare in forma ancora più estesa sul territorio», spiega l’amministratore delegato Federico Vecchioni, il cui piano di sviluppo internazionale è focalizzato sul Nordafrica.

Non sono solo le aziende dell’agroalimentare italiano a essere sempre più presenti in Africa. Un ruolo importante lo giocano i produttori di macchine agricole e di impianti per il food&beverage, veri fiori all’occhiello del made in Italy. Sarà un’azienda fiorentina, la Andreotti Impianti, a realizzare chiavi in mano in Angola il più grande stabilimento del continente africano per il trattamento dei semi oleosi e l’estrazione di olio. Voluto dal governo locale, supportato da Sace e finanziato per 57 milioni di euro da Deutsche Bank, sarà pronto in un paio di anni e occuperà 300 addetti.

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