Alimentare

Dal Trentino ai mercati globali, Pastificio Felicetti al raddoppio

Pronto entro l'anno il nuovo impianto che aggiunge 22mila tonnellate di capacità. Necessario per tenere il passo delle richieste dei clienti globali, con l'export a valere il 70% dei ricavi

di Luca Orlando

Produzione Felicetti

4' di lettura

«Guardi, se fosse pronto oggi, per buona parte sarebbe già saturo di ordini, senza muovere un dito».

Investire per un nuovo impianto produttivo un importo pari al valore annuo del fatturato, scelta non banale per un’azienda, è in realtà per Riccardo Felicetti un rischio più che calcolato.

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Perché l’imprenditore, che insieme a due cugini guida l’azienda di famiglia, vede in effetti il business lievitare ormai da anni. Persino troppo, per lo stabilimento attuale “a tappo”  dal lontano 2015 pur lavorando a ciclo continuo 300 giorni all’anno.

Per il pastificio Felicetti di Predazzo, in Val di Fiemme, il 2020 è però l’anno dell’accelerazione, della svolta in termini dimensionali. Grazie ad un nuovo investimento da 35 milioni di euro che va esattamente a raddoppiare la capacità produttiva dell’azienda trentina: da 22mila a 44mila tonnellate di pasta l’anno.

Diretta soprattutto oltreconfine, perché i 37 milioni di euro di ricavi realizzati dall’azienda sono sviluppati al 70% grazie all’export. Non proprio lo standard, per una Pmi da 70 addetti certo non agevolata da una logistica vincente.

«Vero - osserva - Felicetti - anche se storicamente i pastifici si costruivano sfruttando due tipologie diverse di risorse: da un lato i porti, per gli approvvigionamenti di grano e le spedizioni; oppure nei pressi di sorgenti, per avere a portata di mano una risorsa necessaria». L’acqua trentina proveniente dai rilievi montuosi circostanti, il gruppo del Latemar, così come l’aria di montagna che necessariamente caratterizza l’essicazione, sono in effetti un “asset” che il Pastificio è stato in grado di “vendere” e sviluppare nei 50 paesi di destinazione dell’export attraverso una narrazione che punta in modo diretto sulla denominazione “Bio”.

«Si tratta di una scelta di sostenibilità che sviluppiamo da tempo - spiega - con il 65% della produzione realizzata con questa impostazione, quota di output realizzata al 100% con grano duro italiano. Decisione che abbiamo preso alla fine del secolo scorso per dare un sostegno concreto all’agricoltura italiana».

Idea che viene sviluppata anche in termini di progetti di ricerca, con l’azienda impegnata insieme alla Scuola di Agraria delle caratterizzare in modo ancora più incisivo la propria produzione.

Storia antica, quella del pastificio, arrivato alla quarta generazione imprenditoriale. Che pur non essendosi mai spostato dalla sede storica di Predazzo parte nel 1908 come azienda austriaca, per poi “trasformarsi” in realtà italiana dopo la prima guerra mondiale, con il passaggio del territorio al nostro paese.

Una immagine della produzione Felicetti

«L’Austria ha rappresentato anche un punto di partenza importante per l’espansione internazionale - aggiunge Felicetti - perché le prime esportazioni del 1956 sono legate ad un accordo commerciale precedente concluso tra l’allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e il Cancelliere austriaco. Le prime spedizioni della nostra pasta furono dirette verso Innsbruck. Da lì in Baviera, poi nel mondo». Germania che dopo l’Italia rappresenta il primo mercato di sbocco per l’azienda, assorbendo il 20% dei ricavi, il resto distribuito in 50 paesi tra cui Stati Uniti e Canada, paese quest’ultimo in cui Felicetti è leader di mercato nel segmento della pasta biologica. I marchi utilizzati dall’azienda sono diversi, a partire da Alce Nero, consorzio nato proprio per lo sviluppo di produzioni biologiche e sostenibili di vari comparti alimentari di cui Felicetti è partner, mentre all’estero punta in particolare sul brand Felicetti Bio.

Sviluppo globale che da anni l’azienda affronta affidando ad altri fornitori esterni la produzione di una parte di produzione, quota eccedente le capacità produttive attuali che in prospettiva sarà gestita interamente dal nuovo impianto. «Vista la situazione internazionale e l’impatto del Coronavirus - aggiunge Felicetti - per i prossimi due mesi potremmo raddoppiare già la produzione: un cliente britannico, ad esempio, per timore di un intoppo nella rete logistica in Europa, ci ha chiesto proprio in questi giorni di quintuplicare la sua commessa. Ma a prescindere da questi picchi anomali, è da anni che non riusciamo a realizzare tutti i volumi che vorremmo».

Il cantiere del nuovo stabilimento Felicetti

Per il nuovo sito, situato a poca distanza da Predazzo, a Molina di Fiemme, servirà comunque ancora qualche mese, con un avvio produttivo previsto per la fine dell’anno. Investimento da 35 milioni realizzato anche grazie alla collaborazione delle istituzioni locali, con Trentino Sviluppo che ha offerto più spazi alternativi in termini di terreno e un soggetto finanziario, Istituto Atesino di Sviluppo, holding di partecipazioni impegnata a fornire parte delle risorse a fronte di un ingresso nel capitale dell’azienda con una quota del 22%. Nuovo impianto all’interno di un’area di 16.500 metri quadri che darà lavoro a 30 persone, che saliranno a 40 entro il 2025.L'intesa prevede anche specifici meccanismi incentivanti proprio in favore dell'occupazione: al crescere del numero di lavoratori assunti da Felicetti in grado di allargare l’organico oltre le 100 unità si ridurrà infatti l’esborso per l'utilizzo dell'immobile produttivo.

«Dalla Provincia di Trento abbiamo ricevuto un sostegno importante - aggiunge Felicetti - con la possibilità di valutare diverse opzioni. Abbiamo scelto una di queste e ora ci siamo, con i lavori già ben avviati. In termini di impegno finanziario si tratta naturalmente di una bella “botta” ma direi assolutamente meditata, fatta con criterio e pensiero, alla luce di una domanda consolidata nei nostri confronti da anni».

In parallelo l’azienda continua ad investire risorse anche in termini di innovazione, puntando a realizzare un packaging evoluto integralmente in carta. «Una caratteristica in più - spiega Felicetti - per poter parlare a ragion veduta di produzione e prodotto sostenibili».

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