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Dal vizio psichico alla sterilità nascosta: matrimonio nullo anche dopo i tre anni

Sì alla delibazione della sentenza del tribunale ecclesistico, malgrado la convivenza abbia superato i tre anni, se il vizio genetico previsto dal diritto canonico ha un corrispondente nell’ordinamento interno

di Patrizia Maciocchi

(LRafael - stock.adobe.com)

3' di lettura

La prova dell’incapacità, anche transitoria, a contrarre il matrimonio consente di annullare il sì “viziato” superando il limite dei tre anni di convivenza, che rende la delibazione della sentenza ecclesiastica contraria all’ordine pubblico italiano. Il divieto di passare un colpo di spugna sulle nozze cade, infatti, in caso di vizio genetico del “matrimonio atto”. Ragioni che, oltre ad essere previste dal diritto canonico sono contemplate anche dall’ordinamento italiano e che non possono essere superate, grazie alla convivenza «prima della scoperta del vizio». La Cassazione partendo da questo principio amplia la portata di quanto già affermato con l’ordinanza n.17910/2022, con la quale aveva affermato la possibilità di superare l’ostacolo giuridico dell’ordine pubblico italiano alla delibazione, nel caso di un errore essenziale del marito indotto dal dolo della moglie in merito «all’esistenza di una malattia (o se si vuole di un’anomalia) tale da indurre la sterilità e quindi da impedire, secondo quanto conforme alla sensibilità del coniuge, lo svolgimento della vita coniugale in un aspetto (la procreazione) per lui essenziale».

Codice canonico e Codice civile

Una condizione presidiata anche dall’articolo 122 del Codice civile. Oggi la Suprema corte va oltre, chiarendo che l’annullamento del matrimonio concordatario è possibile, senza la dead line dei tre anni, in tutti i casi di incapacità a contrarre matrimonio, nello specifico un vizio attribuito dal ricorrente alla moglie. Ipotesi previste dal Codice di diritto canonico, articolo 1095 numeri 2 e 3. Ma anche dall’articolo 120 del Codice civile. Per il diritto canonico (articolo 1095 numero 2) c’è incapacità consensuale «anche quando il nubente (uno degli sposi) manchi gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali reciproci». Un caso in cui «il soggetto, pur essendo cosciente del proprio stato e consapevole dell’atto del matrimonio, manca della capacità di valutare praticamente e concretamente gli effetti del matrimonio che sta per celebrare: capacità di ponderare la scelta del matrimonio, di quel matrimonio e di quel partner. Questa incapacità si verifica in caso di gravi forme di nevrosi e psicopatie, a causa di alcolismo e tossicodipendenza. La discrezione di giudizio è una maturità psicologica che ha interferenze con la maturità affettiva». Sempre l’articolo 195 del Codice ecclesiastico, al n.3, definisce l’incapacità ad adempiere. La norma stabilisce che «l’invalidità del consenso può derivare anche da cause di natura psichica che compromettono la possibilità di assumere ed adempiere agli obblighi essenziali, e quindi vanificano la volontà di contrarre matrimonio». L’avvertenza è che «deve trattarsi di un’incapacità particolarmente rilevante, che si esprime in una grave forma di anomalia. Cause di natura psichica gravi, che possono compromettere un valido consenso sono, ad esempio: la omosessualità, il transessualismo, il sadismo, il masochismo». Ora la Suprema corte accoglie il ricorso dell’uomo che chiedeva ai giudici di legittimità di ribaltare il no della Corte d’Appello al riconoscimento della decisione della Rota Romana. Secondo la Corte territoriale, infatti, la sentenza ecclesiastica era in contrasto con l’ordine pubblico italiano, non essendo dimostrate le ragioni che consentivano di derogare al tetto dei tre anni di convivenza, fissati dalle Sezioni unite con la sentenza 16379/2014. Per la Suprema corte invece l’incapacità a prestare consenso della signora al momento del matrimonio, come causa di invalidità è prevista anche dall’articolo 120 del Codice civile, secondo il quale «il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio».

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Diritto di impugnare esteso ad entrambi i coniugi

Nello specifico però ad impugnare il matrimonio non era stata la donna, alla quale si addebitava l’incapacità di prestare consenso «per qualunque causa», ma l’uomo che voleva cancellare le nozze. Per la Cassazione questo però non può essere d’ostacolo all’annullamento del matrimonio concordatario perché «non esiste nell’ordinamento nazionale, un principio di ordine pubblico secondo il quale il vizio che inficia il matrimonio possa essere fatto valere solo dal coniuge il cui consenso sia viziato, essendo preminente in tal caso, l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale prodotto da atto inficiato da vizio psichico». In conclusione dunque la Cassazione annulla con rinvio la sentenza di appello e afferma un principio di diritto con il quale ribadisce che la convivenza come coniugi è un elemento essenziale del “matrimonio rapporto”. Per questo, se si protrae per oltre tre anni dalla celebrazione, «integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”». Tuttavia la sua durata, quale che sia, non impedisce di cancellare il matrimonio delibando la sentenza della Rota capitolina, per vizi genetici del “matrimonio atto”.

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