ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùl’intervento del neoministro

Dall’analisi del rischio al documento di visione: ecco il «metodo Cingolani» per la via italiana alla transizione ecologica

Intervenendo alla conferenza preparatoria per la revisione triennale della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, il neoministro tratteggia le sue priorità e indica la necessità di un documento di visione che potrà servire per le decisioni future

di Celestina Dominelli

La squadra di governo del premier Mario Draghi

3' di lettura

La ricetta italiana per la transizione ecologica dovrà essere declinata rapidamente dal momento che il decreto di riordino dei ministeri fissa entro maggio la presentazione del Piano per la transizione ecologica che servirà a coordinare i tasselli considerati strategici per tale percorso (dalla mobilità sostenibile all’economia circolare). E il motore di quel piano dovrà essere il nuovo Comitato per la transizione ecologica che avrà nel neo ministro Roberto Cingolani un punto di riferimento cruciale. E un assaggio di quale sarà la direzione indicata dal fisico milanese è arrivato mercoledì 3 marzo durante la diretta della Conferenza preparatoria della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, snodo clou nel percorso di revisione di quello strumento che ha consentito all’Italia di recepire e mettere a terra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 dell’Onu.

Un modello adattivo basato sulla conoscenza della situazione

Trenta minuti di riflessione che forniscono più di qualche indicazione sul metodo di Cingolani e sulle priorità del suo dicastero, a cominciare dal concetto stesso di transizione ecologica che, per il ministro, è «tutta da costruire e da adattare». «Più lavoro sul concetto della transizione - spiega - più mi rendo conto di quanto sia importante sviluppare un modello adattativo basato sulla conoscenza della situazione e delle istanze presenti». Il perché è presto detto: secondo il ministro non esiste infatti un concetto univocamente definito tra gli Stati rispetto a cosa si intenda per transizione ecologica e questo implica grandi differenza tra i Paesi, ma soprattutto la necessità di ponderare con attenzione il migliore percorso per centrare gli obiettivi, «la migliore via», la chiama Cingolani, che non è necessariamente quella lineare.

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Approccio glocal per la transizione ecologica

Ma qual è allora la strada da percorrere? La transizione, rimarca Cingolani, «ci mette di fronte a un approccio che non può essere né globale né locale: si usa in genere il termine glocal ed è questo l’approccio che bisognerà utilizzare». Tenendo conto, aggiunge il ministro, «che la transizione va oltre il concetto consolidato di ecologia, è una transizione globale e antropologica. L’ecologia dobbiamo pensarla non solo da un punto di vista dell’ambiente, ma dobbiamo pensare all’ecologia della mente, della società, cioè a un sistema che si regga in piedi con delle regole armoniche. Quindi: la visione è globale, ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale».

I nove punti dell’agenda del neo ministro

Fin qui la premessa, ma Cingolani mette poi in fila tutta una serie di aspetti che considera cruciali per poter definire la «migliore via». Un’agenda in nove punti, dal debito ambientale, vale a dire il consumo delle risorse, al climate change, che implica un approccio condiviso, dalla sfida sui trasporti, che devono essere al centro del percorso di decarbonizzazione, all’inquinamento chimico e al ciclo dei rifiuti, altro tema che il ministro considera improcrastinabile. «Il traffico del rifiuto - precisa - è un problema di natura legale e sociale, sul rifiuto bisognerà fare grandissima attenzione tanto nell’aspetto normativo che in quello scientifico». E ancora, uso delle risorse naturali, biodiversità, prevenzione e smart nation.

Tecnologie al servizio della prevenzione

Insomma, dietro l’intervento si intravede chiaramente il metodo Cingolani: disamina puntuale dei problemi per poi mettere a punto le soluzioni. Anche avvalendosi, e questo il ministro lo dice senza troppi giri di parole, di una valutazione preventiva delle tematiche che via via dovranno essere affrontate. «Dobbiamo cominciare a guardare al futuro con un’ottica diversa che è quella della prevenzione - sottolinea ancora il titolare del nuovo ministero della Transizione ecologica -, serve l’analisi del rischio di tutto quello che facciamo. In vista del Recovery Plan, mi viene in mente quanto sia importante oggi poter osservare il territorio mettere insieme satelliti, droni, i sensori che sono a terra, riuscire a fondere i dati, metterli in un cloud sicuro, analizzarli con intelligenza artificiale e riuscire a monitorare le coste, le aree di verde, le discariche, le perdite dagli acquedotti o dalle condutture, la resistenza delle infrastrutture, strade e ponti».

Un documento di visione per i decisori futuri

Il metodo, quindi, sembra in qualche modo tracciato. Ma Cingolani non nasconde la complessità della sfida. «La correlazione tra un pianeta in salute, le persone in salute e una società giusta è il vero obiettivo della transizione. Su questo non abbiamo la ricetta, non ce l’ha nessuno, stiamo cercando di capire dove andare, di capire la direzione». E per arrivare a individuarla, chiosa, «avremo molto da costruire, spero ci sia l'aiuto di tutti. Mi sono dato qualche mese perché è una cosa urgente ma dobbiamo creare un documento di visione, che serva a tutti e che rimanga per le future scelte dei decisori, per degli indirizzi di natura durevole per le future generazioni».

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