VERSO UNA GRADUALE RIAPERTURA

Firmato il decreto su App e privacy, ma restano nodi da sciogliere per la Fase 2

Tra i punti deboli che si faranno sentire dal 4 maggio in poi anche il livello ancora non adeguato di tamponi effettuati e il sistema di cure a domicilio ancora non capillare

di Andrea Carli

Come funzionerà Immuni, la app che traccia i nostri contatti

4' di lettura

La fase due che nei piani del Governo si aprirà il 4 maggio delinea già i suoi punti deboli. Dalla App pronta solo a metà maggio all’attendibilità dei test sierologici alla necessità di effettuare tamponi a tappeto per capire quanti sono gli asintomatici, dalle mascherine da utilizzare ogni volta in cui non è possibile garantire un adeguato distanziamento tra le persone, come ad esempio sui mezzi pubblici, alla rete di cure a domicilio ancora poco capillare: non mancano i nodi ancora da sciogliere.

App Immuni operativa solo a metà maggio
Il primo punto debole è quello della App per tracciare le persone contagiate. Un decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri e firmato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella tarda serata di venerdì, contiene una serie di misure per tutelare la privacy delle persone che decideranno di scaricarla. Affinchè risulti operativa, tuttavia, occorre attendere. Come ha chiarito la ministra dell’Innovazione Pisano, capofila della task force che ha scelto l’app Immuni, il sistema italiano dovrà tenere conto del modello di Apple e Google ispirato alla decentralizzazione (nello specifico al protocollo DP-3T), con i dati conservati sui dispositivi degli utenti. I due big dell’hi-tech hanno iniziato a distribuire le versioni di prova agli sviluppatori di diversi paesi del mondo. Il rilascio della versione definitiva è prevista a metà maggio, si fa la data del 18, di conseguenza l’app italiana dovrebbe essere lanciata dopo quella data. Il problema è che già dal 4 ci sarà una graduale riapertura: quattro milioni e mezzo di persone quel giorno torneranno al lavoro. Peraltro gran parte dell’efficacia dell’applicazione dipenderà da quanti decideranno di scaricarla. Il governo rassicura e chiede ai governatori delle regioni tutti gli sforzi per fare in modo che l'app venga usata allmeno dal 60% delle persone. Al di sotto di quella soglia la soluzione potrebbe non essere determinante.

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Coronavirus: 4 milioni di test sierologici per fine maggio

Rezza (Iss): «I test sierologici non danno un patentino di immunità»
Ci sono poi i test sierologici forniti dall’azienda Abbott che dal 4 maggio dovranno individuare nel sangue gli anticorpi che testimoniano che l’infezione è avvenuta, da circa una settimana a circa un mese prima. Saranno somministrati a un campione nazionale di 150.000 persone in 2.000 Comuni, secondo i criteri fissati da ministero della Salute e Istat. Sesso, sei fasce d’età e attività economica sono fra i criteri che saranno considerati nella selezione del campione, ha spiegato il direttore centrale dell'Istat, Linda Laura Sabbadini, che guida la parte statistica dell’indagine. Ricostruire questo quadro permette di avere una stima degli asintomatici, ossia di quanti sono coloro che, avendo l’infezione senza sintomi, possono diffonderla. Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, ha sottolineato che «i test sierologici non danno un patentino di immunità. I vari test, se sono affidabili ci dicono solo se una persona ha sviluppato o no degli anticorpi contro il virus. E devono essere eventualmente accompagnati da un tampone».

Servono almeno 100 mila tamponi al giorno, siamo a quota 60mila
Il tampone consentirebbe di avere una fotografia istantanea dell’epidemia. Rileva la presenza del materiale genetico del virus nel campione di muco prelevato da naso e gola e in questo modo indica se in una persona l’infezione è in corso. Per questo gli esperti ritengono che vadano somministrati parallelamente ai test. Il problema è che quest’analisi non viene effettuata a tappeto, sull’intera popolazione. Il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro ha chiarito che «la priorità è andare a intercettare contatti stretti e si tratterà di capire quanto ciò sarà compatibile con il numero di tamponi disponibili, la cui quantità - ha ricordato Brusaferro - non è infinita. È un tema da affrontare. Il test si dovrà fare comunque nella sanità pubblica che darà le priorità». Secondo il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri «finora sono stati distribuiti 2,5 milioni di tamponi e le Regioni ne hanno ancora 800 mila. Continueremo con una massiccia distribuzione - ha assicurato il commissario - per essere certi che ce ne sia sempre una quantità sufficiente». Secondo alcune stime, il contact tracing della fase due potrebbe richiedere almeno 100 mila tamponi al giorno, a regime, più forse altri 100 mila per sanitari e altre categorie in prima linea. Al momento se ne fanno in media 60 mila al giorno. Peraltro se a una persona viene fatto il tampone, e da questo controllo emerge che ha contratto il virus, deve andare in quarantena e sottoporsi a tamponi successivi, finché questi non daranno un risultato negativo. Non è sufficiente un solo tampone, dunque. Nel testo del decreto firmato dal ministro della Salute Speranza si legge che fondamentale per il monitoraggio dell’epidemia è anche il grado di reattività e «tenuta del sistema sanitario, per assicurare l’identificazione e gestione dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, una adeguata e tempestiva esecuzione dei tamponi per l’accertamento diagnostico dei casi».

ll dossier mascherine
Un altro nodo da sciogliere in vista della riapertura è quello delle mascherine. Sono un altro strumento indispensabile in vista della fase due, ma anche in questo caso non mancano polemiche, non ultime quelle legate alla necessità di renderle disponibili per l’intera popolazione e sul prezzo fissato dal governo in 50 centesimi l’una al netto dell’Iva (per quelle chirurgiche). Ne esistono molti tipi in commercio, ma l’ultimo Dpcm non si esprime a favore di un modello specifico: possono essere utilizzate -mascherine di comunità, ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera. Ne sono esenti i bimbi sotto i 6 anni e i disabili che utilizzano altri dispositivi che possono interferire. Soluzioni e divieti si stanno mettendo a punto anche per il trasporto pubblico. Governatori tutti d’accordo su un utilizzo obbligatorio e generalizzato, al chiuso e all’aperto, delle mascherine.

Cure a domicilio ad oggi in appena 13 regioni
C’è infine un altro punto debole, quello delle cure a domicilio. Sono una prima linea essenziale per scongiurare emergenze sanitarie come quelle avvenute all’inizio dell’epidemia in Italia. Si basano su circa 500 medici impegnati nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) incaricati di seguire i casi sospetti o conclamati di Covid-19 direttamente a casa. C’è molto da fare anche su questo fronte, considerando che la legge ne prevede una ogni 50.000 abitanti, mentre al momento sono presenti solo in 13 regioni.

Per approfondire:
Fase 2, Conte: «Valutiamo riapertura nidi e materne»
Si parte con i test di immunità a 150mila italiani

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