Dalla creazione 3D allo showroom virtuale: l’anno più nero salvato dal digitale
Il bilancio, un anno dopo: le aziende, grandi o piccole, si sono aggrappate al web per non affondare con innovazioni che avrebbero richiesto 7-8 anni
di Marta Casadei
I punti chiave
- Il ruolo delle “billion visitor company”
- Il focus sul cliente
- Il successo di piattaforme come NuOrder
3' di lettura
Con gli italiani nuovamente chiusi in casa e le serrande dei negozi di abbigliamento abbassate in 11 tra Regioni e province autonome, il tema degli acquisti virtuali torna a farsi spazio in modo quasi esclusivo. Proprio come un anno fa, quando il Covid-19 ha stravolto la quotidianità e, con essa, le abitudini di acquisto di miliardi di persone.
Per la moda e per il lusso, in particolare, si è trattato di un salto in avanti di sette-otto anni. Tutto concentrato nell’arco di dieci mesi in cui le aziende, grandi o piccole, si sono aggrappate al web per non affondare. Che le vendite online abbiano fatto la differenza lo si vede dai conti dei giganti del lusso mondiale: nel full year 2020, Kering ha registrato un +67,5% nelle vendite online, che sono arrivate a pesare per il 13% delle vendite totali; il gruppo Lvmh ha riportato una «accelerazione decisa» dell’e-commerce, che ha parzialmente compensato le chiusure dei negozi fisici. La crescita non ha riguardato solo i big del lusso: Inditex (Zara) ha messo a segno un +77% di vendite online nel full year 2020; H&M ha registrato un +38% su base annua, con un +50% nell’ultimo trimestre. Marketplace e piattaforme multimarca - come Farfetch (+49% del valore della merce venduta) e Zalando (+30,4%) - hanno registrato crescite ugualmente importanti.
Chi vince e chi perde
«I vincitori, in questa situazione, sono le cosiddette “billion visitor company”, cioè le aziende che registrano miliardi di visite sui loro portali. E spesso sono le stesse che investono nella digitalizzazione, nella supply chain e nel retail fisico. Sono realtà in cui tutto il management pensa in chiave digitale, salvo poi declinarlo in modo integrato su diversi canali», dice Emanuele Pedrotti, partner di McKinsey & Company, responsabile della practice Apparel, Fashion & Luxury per il Mediterraneo.
Digitalizzazione del retail
Quello delle vendite online è solo il primo dei pilastri del percorso di evoluzione digitale che il settore moda ha intrapreso. Lo conferma Pedrotti: «Sicuramente nel corso del 2020 c’è stata un’accelerazione delle vendite sui siti dei brand e soprattutto sui marketplace, ma contemporaneamente le aziende si sono concentrate sull’incremento della tecnologia nei negozi fisici così da aumentare l’efficienza e migliorare gli assortimenti, nonché ottimizzare la pianificazione delle presenze del personale. Oggi, di fatto, non ha senso pensare ai canali in modo distinto».
Focus sul cliente
I punti di incontro tra dimensione reale e virtuale, infatti, sono moltissimi. E tutti fanno capo al cliente finale: «Il Crm, e quindi l’immagine del consumatore che l’azienda “crea” basandosi sui dati raccolti, rappresenta la spina dorsale della strategia omnicanale dei brand», chiosa. I dati raccolti, complice l’impiego di tecnologie come l’intelligenza artificiale o il machine learning, sono strumenti chiave per aumentare il livello di efficienza dell’azienda che, per esempio, può ridurre i resi (e i costi connessi) o le rimanenze.
Dalla creazione allo showroom
Un esempio di come le aziende di moda stiano utilizzando la tecnologia per scopi diversi sono le sneaker virtuali lanciate da Gucci (al costo di 12 dollari) e sviluppate dalla società bielorussa Wanna. L’intento, al di là della componente “giocosa”, che punta a coinvolgere una clientela giovane e social, è quello di sviluppare software iper sensibili tanto da rendere l’esperienza d’acquisto online della scarpa più veritiera e precisa possibile. L’evoluzione digitale, ad ogni modo, non ha coinvolto solo la fase di vendita: il 2020 ha - per necessità, in primis - portato le aziende a cercare partner digitali per le vendite B2b e ha sancito il successo di player come la piattaforma californiana NuOrder - attraverso la quale comprano i principali department store mondiali - che mette in contatto circa 3mila brand con 500mila rivenditori e di recente, a fronte di un +125% del giro d’affari, ha ricevuto un finanziamento da 45 milioni di dollari da Brighton Park Capital e Imaginary Ventures. Non è tutto: la digitalizzazione ha coinvolto la fase creativa, con aziende del lusso che hanno affiancato alle tecniche tradizionali anche l’impiego di software che permettono la progettazione 3D.
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