Dalla formazione ai radar, gli interventi italiani in Libia
di Marco Ludovico
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Una centrale operativa per la ricerca e il soccorso barconi. Una sala di controllo collegata con gli stati presenti nel Mediterraneo per la sorveglianza dei traffici di esseri umani. Di seguito: mezzi per il pattugliamento, radar, ponti radio, sistemi di allerta e monitoraggio, di intercettazione e scambio dati.
È il progetto dell’Italia sui flussi migratori destinato alla Libia e in fase di attuazione sempre più avanzata. Il finanziamento Ue a Roma riguarda un intervento di sostegno sulle istituzioni – la cosiddetta “capacity building” – dell’esecutivo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, a partire dai dicasteri locali dell’Interno e della Difesa. Si articola in due fasi temporali: 2017-2020 e 2021-2022. Ma fin da ora per il governo italiano costituire a Tripoli un Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centre) e un Ncc (National Coordination Center) è una priorità strategica. Il primo progetto è stato curato dalla Guardia Costiera, il secondo dalla Guardia di Finanza. Sotto l’egida della direzione centrale Polizia delle Frontiere e Immigrazione del dipartimento di Pubblica sicurezza guidato dal prefetto Franco Gabrielli.
Il progetto di centrale libica di ricerca e soccorso ha avuto un passaggio concreto il 22 giugno quando il comandante generale della Guardia Costiera, ammiraglio Vincenzo Melone, ha firmato il Grant Agreement (contratto finale) per una serie numerosa di azioni da chiudere entro un anno. C’è, tra l’altro, da definire un network operativo con i ministeri italiani (Infrastrutture, Difesa, Interno, Esteri), i diversi uffici di Bruxelles e le controparti libiche. Così come verificare se l’area Sar (search and rescue) dichiarata di recente da Tripoli sia coordinata con gli stati vicini: Tunisia, Egitto, Grecia e Malta. Fino ad avviare una prima operatività. In programma c’è anche la formazione entro l’anno di 132 agenti della Guardia costiera libica. Insieme all’avvio della centrale di soccorso, poi, è essenziale anche una sala di controllo dei traffici di esseri umani. L’idea è di costituire un centro di coordinamento libico da collegare a quello italiano a Pratica di Mare, guidato dalla Guardia di Finanza, che ospita a sua volta il centro di coordinamento internazionale dell’agenzia europea Frontex. Entro l’anno prossimo, inoltre, è prevista un’azione articolata di sostegno logistico ai mezzi libici – da aggiungersi a quella svolta finora dalla Marina militare con nave Tremiti in porto a Tripoli – e una fornitura di materiale vario: 20 gommoni per il pattugliamento, 30 veicoli suv, quattro ambulanze, stazioni di lavoro, dispositivi di comunicazione radio-satellitare, gilet antiproiettile.
A settembre sarà a Tripoli una delegazione coordinata dal ministero dell’Interno, capofila del programma. Sono previste riunioni anche a Tunisi. La questione è stata toccata anche al vertice del Viminale convocato ieri dal ministro Marco Minniti con i colleghi di Mali, Ciad, Niger e, appunto, Libia. L’Unione europea ha già concesso in proposito 47 milioni. Il pacchetto operativo è stato discusso e condiviso più volte tra i tecnici ministeriali italiani e quelli delle direzioni generali Home, Near e l’Eeas (European external action service) di Bruxelles. Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha sollecitato il numero uno della Commissione europea, Jean Claude Juncker, a liquidare lo stanziamento complessivo richiesto da Roma per la Libia, pari a 270 milioni fino al 2026. Facendo notare l’impegno dell’Italia su tutti i fronti, compreso quello dei rimpatri dei migranti economici «aumentato del 20% rispetto al 2016», ha sottolineato Gentiloni a Juncker. Il bilancio 2017, infatti, ammonta già a oltre 3.600 stranieri riportati con voli charter nei Paesi d’origine. E gli sbarchi, dati del ministero Interno aggiornati al 28 agosto, sono di 98.327 migranti (-6,94% rispetto all’anno scorso).
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